"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



mercoledì 31 agosto 2011

MANCHESTER: PIÙ DI UNA “M”, O DELLA IGNORANZA DEL CRITICO (ITALIANO, E NON SOLO?)

MANCHESTER: PIÙ DI UNA “M”,
O DELLA IGNORANZA DEL CRITICO (ITALIANO, E NON SOLO?)

Provate a leggere autori italiani che scrivono della scena musicale di Manchester: a parte il luogo comune della città grigia (ci sono stati?), leggete la lista degli artisti musicali citati e ne mancano sempre due, tre o quattro.
E precisamente: Buzzcocks, Slaughter and the Dogs, Magazine, Ludus.
Non è completismo mio, è imprecisione loro e rischio (per i lettori) di cavarsela (gli scrittori) con citazioni tralatizie che dicono ben poco.

Parto dai più trascurati: Slaughter and the Dogs, eppure la produzione del primo singolo è affidata all’artefice del Joy Division sound: Martin Hannett.

I lettori più prudenti di queste righe stanno già verificando il resto, i più precisi partono dai Buzzcocks perché “si fa presto a arrivare a Morrissey”.

E’ tutto un pretesto, il mio: fuori dalle strade più facili, cioè i dischi comperati e mai ascoltati (anche perché faticosi: sto dicendo The Fall che quindi sono “il quinto” artista), ci sono i Magazine, ovvero chi se ne va via alle porte di un, seppur piccolo, successo di pubblico: Howard Devoto lascia i Buzzcocks, crea una superband (per tutti valga John McGeoch) e Linder si occupa sia della grafica di Orgasm Addict ([1]) sia di quella dei Magazine ([2]).

Ma Linder chi è? E’: la girlfriend di Howard Devoto ([3]), la frontgirl dei Ludus (che sono artisti della label New Hormones nata con i Buzzcocks), appunto l’artista visuale più originale della scena mancuniana, l’amica con la “A” in maiuscolo ed inscalfibile marmo di Morrissey e, anni dopo, anche la moglie di Michael Bracewell, scrittore che potrebbe costarvi decine di sterline in libri non scritti da lui bensì solamente citati (ma perdereste qualche perla trascurando la sua produzione narrativa) che la lettura del suo England Is Mine può indurvi a cercare.


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[1] Secondo singolo per i Buzzcocks.
[2] Almeno il primo album, Real Life, è un caposaldo del dopo-punk a nord della capitale.
[3] Cercate il CD di Time’s Up, vero album di esordio dei Buzzcocks.

SUEDEHEAD: NOTE SU UN VIDEO

SUEDEHEAD: NOTE SU UN VIDEO

“Suedehead” per chi ha fatto bene i compiti è:
1)      il post-skinhead quasi intangibile, una sorta di premessa dai contorni sfuggenti e forse inesistenti prodromica del glam, oppure del punk;
2)      più o meno band-wagoning un, altro, romanzo di Richard Allen: lo Sven Hassell del malessere giovanile britannico;
3)      con la notevole capacità di far suo ciò che è negletto: una canzone di uno degli, indiscutibilmente, migliori album solisti di Morrissey: Viva Hate;
4)      il “suo” videoclip e, qui, in realtà c’è molto di più di una mera necessità commerciale di promuovere canzone e album.

Partendo da un punto forse sfuggente: è febbraio (come indica una scritta sul muro della scuola), cioè il mese di nascita di James Byron Dean.
Poi c’è quella riproduzione della lettera in cui JBD si pone con Montgomery Clift e Marlon Brando in una categoria (ma league suona meglio) inarrivabile.

Qui già occorre avere negli scaffali le biografie di John Howlett e di David Dalton, raro caso di necessario e sufficiente per chi si accontenta senza un libro fotografico ([1]) negli anni ottanta (ripeto ottanta) del secolo scorso per conoscere il divo di Fairmount.
Diversamente, il videoclip dice poco.

Non solo: l’ossimoro è fra UK e USA; fra canzone ed immagini (una licenza poetica sostituisce i maiali con le mucche).

Ma forse qualcuno è andato oltre i compiti: ecco allora che attraverso il filmato sulle ali di Antoine de Saint-Exupéry si arriva ad Orson Welles.

Il tutto si risolve nella dimostrazione, ritengo impossibile a confutarsi, della legge della sudditanza del mezzo rispetto al risultato: ascolto una canzone, ne vedo il videoclip, approfondisco i riferimenti, scopro un attore, uno scrittore (francese), arrivo magari ad uno dei massimi registi cinematografici, decido per un viaggio (negli USA), finisco con un pulp giovanilistico, non mi fermo.


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[1] In realtà ne servono due di libri fotografici.

lunedì 29 agosto 2011

BAUHAUS: CONSIDERAZIONI SU UNA BAND E OLTRE


 
La versione CD realizzata per il tour del 1998 del primo singolo
(edizione autografata e numerata)




BAUHAUS: CONSIDERAZIONI SU UNA BAND E OLTRE ([1])

Siamo a Northampton, nel 1979, e non a Los Angeles (Mulholland Drive?) nel 1959 (o nel 1969).
Questa è la potenza di Bauhaus (1919) ([2]).

 

Oltre nove minuti primi di pensieri che oscillano fra art school e gotico di seconda divisione: cioè “Bela Lugosi’s Dead”.
Una sezione ritmica impeccabile, e “you’re a fucking copy of Dave Vanian” ([3]) non fra le ferite mortali, mentre le sei corde fanno piovere letali lame muraniche sugli scettici ([4]).
Così l’adolescenziale ([5]) vinile colpisce le graduatorie indipendenti nel post punk che ancora non si prende sul serio.
 
Questo è l’esordio (pretendendo di ignorare che il singolo contiene tre canzoni), ma non si ferma.
Su Axis, infatti, “Dark Entries” può penetrare sotto pelle come i topi nel muro del Maestro di Providence ([6]) per tutti quelli che sono disposti a riconoscere i propri peccati, o più spesso i propri desideri più o meno espressi e realizzabili.
 
Prima o dopo Egon Schiele ([7]) dobbiamo fare i conti con una cultura obliterata o, forse, evitata per ignoranza inconfessata: quella di lingua tedesca.
Tanto che anche “Terror Couple Kill Colonel”colpisce quell’angolo germanico. Che è facile ignorare (nel senso letterale del termine), così facendo con sicura mutilazione della propria cultura musicale di (almeno) mezza dozzina abbondante di pietre miliari provenienti da quelle terre: Radioactivity, Trans Europe Express (meglio Trans Europa Express), Neu!, Low, The Idiot, Lust For Life, “Heroes”.
 
 
I Bauhaus non sono single band e neppure album band. Forse non sono supremi in alcuna delle due categorie ma la loro produzione è eccellente ed il loro coefficiente culturale bastante ad estrarre ogni loro fan dal rischio di una letale sabbia mobile musicale.
 
Si snocciolano come bibliografie i riferimenti più o meno palesi nelle loro canzoni. A voi/noi trovarli, verificarli e seguirli o meno.
Perché dopo il punk, corso di laurea dove si può scegliere l’orientamento si è al post laurea: diciamo al Ph. D. per non limitare.
Il dottorato può, appunto, essere interdisciplinare e quindi trascendere la musica.
Ognuno sceglie, oppure trova perché la scelta richiede alternativa, ma è certo che ogni riferimento ne porta altri.
Così si procede – gradualmente oppure per scatti, in un “a ritroso” musicale o in un avvicinamento laterale verso arti ormai nell’ordine della decina ([8]) – completamente ed irreversibilmente affrancati dai limiti della propria estrazione per lo meno nazionale.
 
 
                                                                                                                                                             Steg
 
 
 
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[1] Ho mantenuto lo stile con cui ho scritto questi pensieri – per mio gusto – solamente aggiungendo note di intelligibilità a una prosa altrimenti troppo criptica per il lettore.
[2] La datazione come specifico omaggio alla scuola artistica tedesca durò poco tempo.
Per i precisi allo spasimo: il primo concerto risulterebbe essere del 31 dicembre 1978, al Cromwell pub di Wellingborough.
[3] È l’insulto gridato a un concerto verso Peter Murphy, cantante del gruppo. Dave Vanian è il cantante di The Damned.
[4] In una recensione del concerto di Milano del 1982 il giornalista scrisse del suono della chitarra di Daniel Ash come di una pioggia di frammenti di vetro, appunto.
[5] Teeny 2 è il numero di catalogo del singolo, che esce solamente in formato 12” per la giovane Small Wonders Records.
[6] Howard Phillips Lovecraft.
[7] Ovvero: con o senza Adam and the Ants degli esordi poco esplorati dalla discografia ufficiale. 
[8] A quelle classiche si è soliti aggiungere la fotografia come ottava, i fumetti come nona, il cinema – invece – rientra nella settima (con il teatro); ci si può chiedere se Nam June Paik fu alfiere di una decima audiovisiva che non può essere assimilata a quella dei Fratelli Lumiere.


 

MY GENERATION vs. YOUR GENERATION? NOT REALLY



MY GENERATION vs. YOUR GENERATION? NOT REALLY
(senza la conoscenza non si inventa niente e si confonde molto)

Prendo spunto da taluni fatti e argomenti di conversazione, perché sembra che sia ormai necessario correggere le riscritture della storia a fronte di semplificazioni e sviste frutto di una crescente pigrizia culturale ([1]).


Pete Townshend scrisse “My Generation” che uscì come singolo di The Who nel 1965 (e diede anche il titolo al loro album di esordio).
Nel 1977, il lato A del primo singolo dei Generation X è una registrazione di “Your Generation”, canzone scritta da Billy Idol e Tony James; la copertina – con un artwork astratto in stile Bauhaus ([2]) – non strilla il titolo ([3]).

Billy Idol non è un artista platinato costruito a tavolino che ha avuto qualche successo negli anni ‘80 e via; Tony James con i Sigue Sigue Sputnik provò a spostare il limite della banalizzazione commerciale vendendo immagini forti, ma grondando riferimenti ([4]).
Billy Idol ha interpretato, nelle rispettive versioni dal vivo, la parte di Cousin Kevin in Tommy (1989) e del “bell-boy” (dunque lo “Ace face”) in Quadrophenia (1996).
Tony James attualmente è, soprattutto, i Carbon/Silicon insieme a Mick Jones ([5]).

Però nella migliore delle ipotesi la stragrande maggioranza di chi associa qualcosa a “Generation X” pensa a Douglas Coupland ([6]). Invece no, la situazione è ben diversa, anche perché è impossibile aver copiato nel novembre 1976 un titolo del 1991.
Infatti, per quanto qui interessa, Generation X è il titolo di un libro-inchiesta scritto da Jane Deverson e Charles Hamblett a proposito dei giovani dei primi anni sessanta; volume uscito nel 1964 in solo formato tascabile (in almeno due versioni) in Gran Bretagna e anche negli USA.
Ebbene, da quel libro fu presa ispirazione per dare il nome alla band di Idol e James (il primo sostiene di averne trovata copia sotto il letto della madre).
Di più, circostanza meno nota, dei ritagli del medesimo libro ([7]) sono utilizzati graficamente come parte del retro della copertina di “White Riot”, primo singolo di The Clash, ed ancora più curioso può essere il fatto che in uno dei press-clip è un mod che parla agli autori del libro.
Reputo che la corto circuitazione artistico-musicale sia davvero notevole, ed appunto dimostri come non sia mai possibile banalizzare le informazioni.
Quelli che convenzionalmente sono chiamati i primi punk dei settanta non erano né degli ignoranti, però neanche degli inventori; semplicemente ed intelligentemente (questo sì) avevano ascoltato e letto e visto e ... come prima di loro avevano fatto altri artisti.

Simon Reynolds nel suo ultimo libro, Retromania: Pop Culture’s Addiction To Its Own Past, pare preoccuparsi della vacuità del primo decennio del XXI secolo.
Poiché il punk non viveva sulla nostalgia, bensì sulla conoscenza del passato musicale e la conseguente capacità di distinguere ciò che vale da ciò che non è importante, dall’evidente vuoto attuale si ha la conferma di quanto sia sempre più grave il rischio di semplificazione ogni volta in cui si danno per scontati fatti ed anche significati.
Quella di Simon Reynolds rischia di divenire allora una preoccupazione marginale: essere dipendenti dal passato – se lo si analizza in modo indipendente e non guidato, per cercare una propria via (anche solo alla lettura, all’ascolto e alla visione) – è molto meglio che essere dipendenti unicamente dalla pseudocultura venduta sotto forma di romanzi/elenco telefonico (posati sui pallet di pseudo librerie e centri commerciali) e dei downloading facili e mal compressi di musica dove le rime sono quelle baciate vecchie di decenni (solo vecchie).




                                                                                                                      Steg
Una delle due edizioni del libro del 1964 



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[1]Libraries gave us power” (da “A Design For Life” dei Manic Street Preachers): cioè anche il proletario può avere cultura; ma viceversa il borghese può leggere solo sciocchezze.
[2] L’argomento “art schools” e` molto complesso - posso rinviare a Simon Frith, Art into Pop; quello Bauhaus è addirittura doppio.
La copertina, comunque, è di Barney Bubbles.
[3] Le 4 canzoni costituenti i primi 2 singoli della band risultano nelle prime stampe come “copyright control” cioè ancora senza editore, il che significa che ci fu un’epoca in cui i contratti fonografici non obbligavano a sottoscrivere quelli di edizione musicale con l’editore indicato dal produttore: costi minori, più fiducia negli esordienti?
[4] Inoltre proponendo autentiche pubblicità fra i solchi del vinile: The Who Sell Out anyone?
[5] Name dropping di approfondimento: London SS.
[6] Forse con “Girlfriend In A Coma” va meglio?
[7] Non proprio “cut up” alla William Seward Burroughs, ma evidentemente un riferimento stilistico ai collage delle avanguardie artistiche del primo novecento.

venerdì 26 agosto 2011

PUNK PRIMA DI TE?

PUNK PRIMA DI TE?



Non desidero che si pensi che io creda di poter criticare tutti.
Se fosse così scriverei critiche alla critica di Francis Bacon ([1]).

Però concordo nella essenza di una canzone di alcuni anni fa di Enrico Ruggeri ([2]) intitolata “Punk (prima di te)” ([3]).


Basta, come già scritto, attribuirsi qualità inesistenti, basta plastiche estetiche del proprio passato.

E, quindi, cosa ancor più rara devo citare un altro italiano contemporaneo: Freak Antoni con il libro Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti ([4]), ma …



Cosicché la decisione di aprire questo blog si sintetizza in una terza ed ultima (corretta nella datazione) citazione nazionale: “Abbiamo pazientato [34] anni ora basta”: sono i nostri Laibach (solo in termini cronologici), i Disciplinatha (da “Addis Abeba”).



                                                                                                                      Steg










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[1]Il macero come destino della critica trasformatasi nel fantasma di sé da quando ha deciso di trasformarsi nella critica ai fantasmi” a memoria reputo testualmente preciso almeno al 95%: era quanto scritto sulla carta di imballo della Libreria Sileno in Galleria Mazzini a Genova ed esattamente sintetizza la circolarità di certe riflessioni.
[2] Persosi dopo i primi due-tre album solisti salve – appunto – alcune canzoni eccezione.
[3]Sono stato punk prima di te/ sono stato sempre contro”, “Sono stato punk prima di te/e mi sono fatto male” (di Enrico Ruggeri; strofe tratte da Il falco e il gabbiano del 1990).
Comunque l’eponimo, meno le parentesi, album della canzone citata (che in esso non è contenuta) può servire per apprezzare certi testi altrimenti molto difficili da reperire date le quotazioni degli originali in vinile: la ristampa dei due album dei Decibel e del double-A-side-single Mano armata/Indigestione Disko in CD forse non ci sarà mai.
[4] Pubblicato da Feltrinelli nel 1994. Esiste anche un album degli Skiantos dallo stesso titolo, ma è altra cosa.
Per chi avesse la pazienza di sfogliare il mio elenco dei libri, trattasi di degno, più leggero, figlio de La prevalenza del cretino di Fruttero & Lucentini.

giovedì 25 agosto 2011

PERCHÈ NON POSSIAMO NON DIRCI ANCHE WELLERIANI

badge in metallo 


PERCHÈ NON POSSIAMO NON DIRCI ANCHE WELLERIANI

Date per scontate – e in certi momenti condivisibili – le critiche a Paul Weller, risulta difficile (per me impossibile) non riconoscergli il merito di canzoni fondamentali con uno stile in totale attrito con quello che era ciò che la critica prediligeva.

In Italia Paul Weller è “un po’ come The Clash”: si negano The Jam, si è schizzinosi su The Style Council e da ultimo si osanna il solista che calza Bottega Veneta ([1]).
Spiacente: All Mod Cons si staglia da solo, Setting Sons non è così lontano dai retrogusti di Evelin Waugh, Sound Affects non è immediato ma contiene delle gemme. Due su tre hanno già avuto una riedizione ampliata.
Potete arrotondare con l’antologia migliore che resta Snap! in formato doppio CD e con quel puro gioiello che è Extras.
Qualche cosa magari non la apprezzerete subito poi fra un anno, o cinque, non potrete farne a meno (il che significa anche sapere che “è lì da ascoltare, nel caso”).
Mi rendo, però conto che rimangono delle zone scoperte (valga “Carnation”), quindi l’alternativa può essere investire nel cofanetto Direction, Reaction, Creation a scapito di versioni mancanti, ma che abbraccia tutta la produzione di The Jam con l’aggiunta di rarità (poi completabili con il precitato Extras che reputo un unicum nelle uscite postume per la eccellenza delle registrazioni che lo costituiscono).

Dopodiché dovrete cimentarvi con il dopo Jam, materia più opinabile anche perché ben più vasta.


                                                                                                                      Steg



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[1] Apprezzabile stilisticamente quando lo slogan di questi pellettieri era “when your initials are enough”, ora non più.

“EXCUSE ME ARE YOU A MOD?” OVVERO “OH MUMMY WHAT’S A SEX PISTOL?”



“EXCUSE ME ARE YOU A MOD?”
OVVERO “OH MUMMY WHAT’S A SEX PISTOL?

 
“Excuse me are you a mod?”
La domanda proviene da una voce cristallina che mi sveglia da un sonno davvero precario, sono sdraiato su un’ampia “spalletta” nell’atrio di Euston Station.
Certo che avvolto io nella mia parka e con un pork-pie hat calato sugli occhi forse un poco di ironia nella punkette che mi apostrofava c’era.
 

Ma era mattina, e dopo la serata del 26 agosto 1979 di chiusura della March of the Mods al Lyceum (Tony Face non lo ho visto …), con il successivo vagare notturno per London fino a questo ricovero, devo avere fatto un mezzo sorriso e lanciato una occhiata divertita alla “Prima Parka di Milano” e dopo i saluti, con il tube sono tornato all’Alloggio Angolo Portobello per qualche altra ora di sonno. Ben poco perché era bank holiday con il Notting Hill Carnival in pieno svolgimento e il corteo di sound system sotto un sole benevolo non passava certo inosservato e sopratutto inaudito; un sorriso stirato, ossequi al dub e a Paul Simonon (pre “Guns of Brixton”) e quindi in giro per il quartiere, che altro fare avendo optato per non andare sulla costa 25 anni dopo Margate ([1])?

 

Giorni prima al London Nashville una skinette mi aveva apostrofato, non ancora incominciato il concerto dei Madness, e mi graziò (per lei restavo un wop; diversamente sarebbe stato un trattamento ben descritto in “Down In The Tube Station at Midnight”) poiché non lavoravo rubando il posto ai Britons ([2]); ma mi consigliò anche Meaty, Beaty, Big and Bouncy ([3]) ed io che pensavo mi prendesse in giro il giorno dopo le fui grato.

 

Il problema era che nella estate del 1979 gli Italiani vocianti con dozzinali T-shirt dei Sex Pistols al Marquee erano un oltraggio per i kid ‘77.
Così a un concerto de The Chords decisi che si doveva cambiare per restare se stessi, ma con finalità antitetiche al Gattopardo ed ecco l’origine delle mie piccole avventure londinesi in sta-prest, Ben Sherman and so on.

 

For the record: a Portobello nell’agosto 1979 si comprarono Join Hands e Cut ([4]) prima che arrivassero nei negozi.
Oltre a code infinite per ascoltare The Ruts al Marquee.
Non è solo Mods Mayday e All Mod Cons ([5]) dunque.

 

Del resto nei successivi mesi milanesi la parka con il badge di Sid Vicious al bavero o la mia presenza al concerto dei Damned al Teatro Orfeo erano conferme del fatto che io avevo jumped OFF the bandwagon.

 

Ecco forse vi ho appena parlato anche dei Manic Street Preachers (“Oh mummy what is a Sex Pistol?”: geniale non intitolare cosi la canzone bensì “Jackie Collins Existential Question Time”): la potenza testuale e sonica di The Holy Bible ([6]) – in seguito si rinviene solamente in Journal For Plague Lovers.

 

Senza pretese di interpretare l’altrui pensiero, e ricordando che “Oh mummy what’s a Sex Pistol” era lo slogan di un tardivo – 1978? – badge inneggiante ai Pistols, rammento la perenne fatica di non essere soffocati dalla omogeneizzazione nel 1977, nel 1979, nel 1985-86 in Wales, oggi e domani e ovunque.

 

 

                                                                                                                                  Steg

 

 

 

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[1] A scelta: o il retro di copertina di “White Riot” di The Clash o direttamente a compulsare Generation X di Jane Deverson e Charles Hamblett
[2] In realtà facevo l'aiuto magazziniere a Milton Keynes, ma era solo un lavoro estivo (prudenzialmente non ne parlai).
[3] The Who.
[4] Rispettivamente secondo album di Siouxsie and the Banshees e album di debutto di The Slits.
[5] Il primo un’antologia di gruppi nuovi che però vede grandi assenti i Purple Hearts (le riedizioni  ovviamente sono altra cosa), il secondo è l’album di The Jam fondamentale (e infatti nemmeno so perché lo preciso, ma ho deciso di rivedere, nel 2014, questo post e dunque siamo ad usum cretini…).
[6] Non a caso recensito ottimamente da Kerrang!.