"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



domenica 19 ottobre 2014

RELIGIONE (impopolarità di non credenti e atei)


RELIGIONE
(impopolarità di non credenti e atei)

 

Vedo commenti di ogni tipo e penso:
- io che decisi (su richiesta dei miei genitori: cosa volevo fare) di NON ricevere il sacramento della prima comunione in quanto tutti i miei compagni di classe “la facevano per i regali”;
- io che in IV e V elementare ero esonerato dalla lezione di religione insieme ad un compagno di classe ebreo;
- io che nonostante l’esonero ebbi anche un “ottimo” in religione al liceo (ogni tanto capita “un prete bravo”);
- io che ho abbandonato le chiese politiche dal 1977;
- io che nel 1986 mi sentii dire dal mio compagno di università (New York City: Columbia School Of Law) Schmuel (chiedo scusa per lo spelling), Israeliano, che i peggiori da gestire da parte dell’esercito israeliano erano gli ebrei ortodossi, ...
 

Data anche la recente visita in una moschea della Presidente della Camera (che forse dimentica le Crociate e anche qualche assedio alle porte di Vienna) e riscontrando sempre scarso interesse per i non credenti e gli atei (non siamo abbastanza influenti, evidentemente),

RAMMENTO

(senza la foto del suo autore che addolcisce il concetto e anziché scomodare la solita “Religion” dei PIL) una frase di Oscar Wilde:

RELIGION IS LIKE A BLIND MAN LOOKING IN A BLACK ROOM
FOR A BLACK CAT THAT ISN’T THERE, AND FINDING IT

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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giovedì 9 ottobre 2014

LA MARCHESA LUISA CASATI (o del tentativo di rendere consumabile l’inconsumabile, a tacere del “camp”)


LA MARCHESA LUISA CASATI
(o del tentativo di rendere consumabile l’inconsumabile, a tacere del “camp”)

 

Incappai nella figura e nella vita della Marchesa Luisa Casati ([1]) nel 2003, in ragione di una recensione nemmeno tempestiva ([2]) dell’edizione italiana di Infinite Variety – The Life and Legend of the Marchesa Casati  ([3]).
Ebbi fortuna: esistevano ancora le librerie, e trovai una copia nella prima in cui entrai all’uopo.
Ebbi una seconda fortuna: contattai nei giorni successivi l’editore della precedente (e credo prima) biografia della Marchesa Casati e esso ancora disponeva di copia del volume di Dario Cecchi, intitolato Coré – Vita e dannazione della Marchesa Casati ([4]) che mi inviò prontamente.
In seguito acquistai anche l’edizione originale e quella francese di Infinita varietà, posto che esse hanno illustrazioni in parte diverse.
Terza fortuna: anni dopo rinvenni casualmente (ma non senza metodo ([5])) copia di La divin marchesa, volume di “contributi” di vari autori edito ([6]) pressoché in contemporanea con l’opera di Cecchi.

 

Dopo il 2003 in Italia direi il nulla e ciò mi sembra adeguato all’indole della nazione: in fondo Luisa Casati è semplicemente una voce senza fotografia a pagina 50 di Camp – The Lie That Tells The Truth ([7]), volume di struttura enciclopedica che ancora oggi credo sia il miglior punto di partenza per la non definibile posa/attitudine/(altro?) che è il “camp” ([8]).
Probabilmente è più conosciuta di lei la sua lontana “familiare acquisita” (ma anche lei non era nata “Casati” e dal marito si separò): quella Casati, nata Anna Fallarino ([9]) e marchesa anch’ella per matrimonio, uccisa dal marito ([10]) Camillo Casati Stampa di Soncino ([11]) il 30 agosto 1970 ([12]).

 

Ora ecco che, c’è da chiedersi con che previsioni di esito, Luisa Casati riappare alla fine del 2014 come soggetto di una mostra che sin dal titolo sembra un rifacimento: “La divina marchesa”. Sede dell’esibizione l’indubbiamente délabré, come tale perfetto, e certo non luminosissimo Palazzo Fortuny di Venezia; evidentemente non era possibile chiedere quel Palazzo Venier dei Leoni che per quasi tre lustri fu di proprietà della Marchesa ([13]).

 
Indipendentemente dal numero dei visitatori dell’esposizione, mi domando che cosa capiranno essi dell’esprit de “la Casati”, credo nulla.
In una città dove il turismo peggiora per grado di volgarità ([14]), nazionale ed estero, in un mondo dove, forse, è meglio andare in gondola a Las Vegas (o in Cina?), che senso ha rievocare i fasti scellerati ed unici, dunque non massificabili siccome non ripetibili e consumabili una sola volta, di questa pirotecnica “femmina folle” ([15]) e “di lusso” ([16]), forse non bella ma evidentemente in grado di ammaliare uomini non certo da poco?
E fra quanti anni (o mesi?) vedremo le copie invendute del catalogo diventare prima carta da macero e poi rarissime?
 

Vi sembrano evanescenti queste righe? Può darsi: sono un poco camp anche loro.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Nata Luisa Ammann, ricca famiglia di imprenditori, a Milano, nel 1881.
[2] Segnalatami essa sì tempestivamente, da EKS.
[3] Gli autori sono Scot D. Ryersson e Michael O. Yaccarino, il volume ebbe una prima edizione negli USA nel 1999.
Infinita varietà – Vita e leggenda della Marchesa Casati il titolo italiano, edita da Corbaccio (Milano).
[4] L’editore era, nel 1986, L’inchiostro blu di Bologna.
Coré era l’appellativo con cui usualmente Gabriele d’Annunzio, suo amante e amico, apostrofava la Marchesa.
[5] Passare a spazzola (se non a pettine)  i banchi di libri usati richiede discreti esperienza, allenamento e tecnica.
[6] Formalmente da Edizioni Ritz Sadler, sempre Bologna, sempre 1986. Notate la troncatura dell’aggettivo nel titolo, a ricordare il Marchese De Sade.
[7] Scritto da Philip Core e pubblicato nel 1984 a Londra da Plexus.
[8] Chi fosse interessato può anche (ma non solo) leggere i due volumi curati da Fabio Cleto, PopCamp, Milano, Marco Y Marcos, 2008 come numero 27 della rivista Riga.
[9] Nel 1929.
[10] Omonimo del marito di Luisa siccome ne è il figlio (non della Marchesa).
[11] Località che diede i natali a Piero Manzoni.
Marito che ne uccide anche l’amante e poi si suicida, sempre con il fucile da caccia.
[13] Oggi è sede, dopo essere stato dimora della “Siora Peggy”, del museo Collezione Peggy Guggenheim.
[14] Ma quelli con le buste sottovuoto di salumi al Vittoriale di d’Annunzio non sono da meno.
[15] Cito Erich von Stroheim ma solo perché mi piace la definizione, senza seguire il contenuto del suo film Foolish Wives.
[16] Un mammifero pitigrilliano? Più una “playlady”.