"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



mercoledì 12 novembre 2014

DI SNIPERS, TIREURS, FRANCOTIRADORES E GRAFFITISTI (dove osano le perle, mediatiche e critiche)


DI SNIPERS, TIREURS, FRANCOTIRADORES E GRAFFITISTI
(dove osano le perle, mediatiche e critiche)

 

Quando decisi con chi li firma (usando il moniker “Top Shooter”) di creare una “Sniper series” di post per il blog, l’idea era quella di essere più aderenti al formato del medium, dunque testi più corti e senza o pochissime note a piè pagina ([1]).
Il titolo della serie era ispirato, quasi un ossimoro, ai romanzi di Alan Altieri che hanno come protagonista lo sniper, appunto, Russel Kane delle SAS britanniche. Ma c’era anche una strizzata d’occhio a Jean-Patrick Manchette e al suo eccellente (capolavoro?) La position du tireur couché.
 
Qualche settimana fa mi è capitata fra le mani la recensione di Le Monde Livres di El francotirador paciente di Arturo Pérez-Reverte, autore in Italia conosciuto ancora essenzialmente e superficialmente (ha scritto anche molto altro) per il solo romanzo El club Dumas ([2]).
Mi sono subito incuriosito in quanto lasciata la storia antica o premoderna e il mondo della bibliofilia, questo autore ha affrontato un mondo rispetto al quale, pur essendosi storicizzato, esiste una discreta ignoranza generale e, in Italia, cioè quello degli autori di graffiti (cd. “writers”). Lo ha affrontato utilizzando il nome Sniper per il personaggio-oggetto del romanzo.
 
Sin qui tutto bene, ma questo post rischia di diventare una perla mediatica.
 
Eh sì perché il “povero” lettore o potenziale tale (il libro in Italiano ha il titolo Il cecchino paziente) scopre che ci sono modi e modi per fare una recensione.
Da un lato, il Signor Marco Cicala con la sua intervista all’Autore pubblicata su Il Venerdì di Repubblica del 3 ottobre 2014 (reperito in rete) e dall’altro il Signor Vincenzo Trione, professore, di cui mi sono occupato in altro post ([3]), che scrive una recensione su La Lettura (Corriere della Sera) del 6 novembre 2014 senza far altro che virgolettare parole e frasi del romanzo di Pérez-Reverte.
 
Ed allora: Trione “Marinetti con lo spray (i writer sono l’avanguardia, parola di Pérez-Reverte” (titolo del suo articolo).
Dall’intervista di Cicala: “Ma a lei i graffiti piacciono? «No. Mi sembrano una porcheria e penso che sia giusto perseguirli. Però, da scrittore, mi interessano i graffitari. O quantomeno: i più puri fra loro. Nemmeno i narcotrafficanti sono la mia tazza di tè. Ma ci ho fatto un libro»”.
 
Trione: “sembra dire Pérez-Reverte”.
Ma non lo dice, in quanto non è stato intervistato.
 
Trione cita Majakowski (non indica la fonte primaria, non posso controllare): “«Le strade sono i nostri pennelli e le piazze le nostre tele»”.
Dall’intervista di Cicala: “Più scrittura che pittura. «Assolutamente. Il vero writer odia la parola artista. Vuole distinguersi dalla street art, quella tollerata e spesso sovvenzionata dalle istituzioni. Banksy lo detestano. Ritengono che abbia usato i graffiti per vendersi. Il writer non cerca il riconoscimento, il successo mediatico o economico. Non si spinge fuori dal proprio territorio. Ha ambizioni modeste»”.
 
Trione “sigla” come di sua creazione un glossario di termini che, obiettivamente, reputo sia costituito di definizioni e nozioni reperibili in rete o in scritti in tema graffiti ben più risalenti.
Il primo libro in argomento che io comprai fu quello di Andrea Nelli (pare recentemente ristampato) dal titolo Graffiti a New York: 1968-1976, Lerici, 1978.
 
Notevole.
Ultimo dettaglio: Arturo Pérez-Reverte parteciperà a BookCity Milano 2014 insieme a Trione. Ebbene sul sito internet di BookCity nella pagina dedicata a “tutti i protagonisti” trovo Trione, ma non Pérez-Reverte (eppure Umberto Saba c’è).
 
Mi sa che (senza scomodare Top Shooter e la sua Sniper series) ho centrato nuovamente il professor Trione, il quale è in odore di polemiche anche in altri ambiti ([4]).
 
Con buona pace, anche questa volta ([5]), di Francesca Alinovi e, non solo per completezza, di Rammellzee (cfr. Big Audio Dynamite), ideali dioscuri del Yours truly,

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Poi sono arrivate altre serie, credo abbastanza auto esplicative nei loro titoli.
[2] http://www.perezreverte.com/.
[3] http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2013/02/bob-dylan-e-david-bowie-di-arte_7.html.
[4] http://www.artribune.com/2014/11/i-quattro-motivi-per-cui-la-nomina-di-vincenzo-trione-e-ridicola-a-prescindere-da-trione/.
[5] Già citata in un altro post.

sabato 8 novembre 2014

“THE WIDTH OF A CIRCLE” (Song series - 4)

“THE WIDTH OF A CIRCLE

(Song series - 4)

 

Affermava Tonito che The Man Who Sold The World è heavy metal. Forse.

Lui, a suo dire, faceva parte della “gente bella”, cioè di quelli cui tutto avrebbe dovuto essere permesso invece permesso tutto non lo fu.

Riposa in pace, dannato (cfr. F. S. Fitzgerald, ma anche John Foxx) Antonio!


The Man Who Sold The World, di cui già ho scritto, è un disco a faticosa gestazione e a definitiva ossessione per l’ascoltatore.

Colossale e mostruosa come una creatura di Robert E. Howard, si erge la sua monumentale apertura: “The Width Of A Circle”. Essa nasce con dimensioni quasi accettabili, come sanno tutti quelli che ne conoscono anche le versioni giovani (non giovanili).

Poi l’opera si sviluppa e cresce quasi incontrollabile fino a divenire una schizofrenia a due e fra due: le liriche di David Bowie da una parte e le partiture di chitarra di Mick Ronson (l’angelo biondo di Hull) dall’altra.

Separati e complementari loro, come li si ascolta e vede in Ziggy Stardust and the Spiders from Mars di Donn Alan “D. A.” Pennbacker: Halloween Jack (Ziggy muore formalmente quella sera) preso nei suoi mimi quasi leziosi per i profani e Ronno a calpestare il legno del Hammersmith Odeon londinese come i listelli del ponte del suo veliero corsaro, le fibbie henrymorganiane inconfondibili delle calzature a ricordarcelo.

Ogni volta l’ascolto è una esperienza e, come se non bastasse, nemmeno il tempo di riprendere fiato e si casca in “All The Madmen”.

  

NOTA DEL 2022

Circostanze fortuite mi hanno condotto a un probabilmente inevitabile nietzschiano.

Nel quarto capitolo di Al di là del bene e del male (1886), si trova questa considerazione di Friedrich Nietzsche: “Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te” ([1]).

Riandare al testo della canzone in commento è inevitabile.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] È il frammento, o sentenza o aforisma, numero 146. Si è utilizzata la versione di Ferruccio Masini; la traduzione di Masini è basato sulla versione critica originale (dunque in lingua tedesca) stabilita da Giorgio Colli e Mazzino Montinari per Adelphi.

Il capitolo è qui intitolato “Sentenze e intermezzi” (qualcuno preferisce “aforismi” come primo termine), tratto da Al di là del bene e del male, nel volume VI, tomo II, pagina 79, Milano, Adelphi delle opere nietzschiane; l’edizione cui mi riferisco è quella rilegata contenente anche l’opera Genealogia della morale.