"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



venerdì 19 luglio 2019

VENEZIA NON È STATA LA MIA FINE (Dal Danieli a …) (Steg about Steg Series - 3)


VENEZIA NON È STATA LA MIA FINE (Dal Danieli a …)
(Steg about Steg Series - 3)


Premessa 1: non sono un hemingwayano (Ernest), e quanto di lui ho letto tratta di argomenti a me cari: Venezia e tauromachia (sebbene su questo punto Jean Cau abbia scritto che il Premio Nobel non ne capisse poi molto).

Premessa 2: per una incollatura temporale, Venezia, la mia, non è nata da Hugo Pratt, eppure ...


STEG QUESTION: credo che in questo caso l’ordine cronologico sia fondamentale.
STEG ANSWER: certo. Autunno 1973, venerdì pomeriggio piovoso, prima liceo scientifico dell’Alessandro Volta di Milano, sezione P. Giustificazione per uscire un po’ prima, devo andare a Venezia, in treno a raggiungere i miei genitori per una serata di gala aziendale. Parto direttamente da scuola con la bisaccia ([1]) e indosso a protezione dalla pioggia una cerata giallo limone.
A un certo punto del viaggio, diciamo dopo Padova, uno degli occupanti il mio scompartimento mi chiede qualcosa, gli rispondo Venezia, e parlando dell’albergo (come arrivarci) scopro che “il Danieli” non è proprio una bettola.
Pioggia anche durante il viaggio in vaporetto, vedo la caserma dei vigili del fuoco e poi il Canal Grande. Pochi passi fra l’imbarcadero e la porta, mi pare girevole, dell’albergo su Riva degli Schiavoni. Arriva qualcuno, direi mia madre e anche mio padre, e mi dicono che mi hanno “dovuto dare” la suite più importante ad uso singola perché non c’era altro: stanza di marmi, bagno di marmi, soffitti affrescati, un freddo notevole. 
Ho pochi ricordi della città il giorno dopo, ancora tempo grigio e mi pare già di ritorno a casa nel pomeriggio. 

SQ: e Pratt battuto sul tempo?
SA: ricordo che avevano cercato di propormelo tempo prima, diciamo un paio di anni, attraverso un volume Mondadori alla Milano Libri, ma il tratto mi pareva ostico per i miei gusti (leggevo L’Uomo Ragno e quanto della Marvel pubblicava la Editoriale Corno), sicuramente intravidi un Corto Maltese sulle pagine di Linus di quei mesi.
Comunque: estate 1974, vacanze dal mio amico FB a Nervi (Genova), in una delle nostre discese in città ([2]) per caso, dietro Piazza De Ferraris, scoprii la Libreria Il Sileno (Galleria Mazzini) dove si stagliavano splendide le copertine de Il Sgt. Kirk edito da Ivaldi: colpo di fulmine per la rivista e per Pratt.

SQ: quando tornasti a Venezia?
SA: tornai da solo, avendo letto Un romanzo d’avventura di Alberto Ongaro ([3]) e Le pulci penetranti che molti considerano la risposta stizzita di Pratt all’amico ([4]). Tornai credo in ragione di un articolo di giornale e poi, forse, l’acquisto del volume di Ugo Fugagnollo: Venezia così. Ma mi aveva anche incuriosito la copertina de Le pulci penetranti: costruita su una vignetta riprodotta 4 volte tratta da una storia di Corto Maltese ([5]) nell’ultima, completa, egli dichiara “Venezia sarebbe la mia fine!” con alle spalle le cupole di San Marco.
Fu fra il 1976 e il 1977, direi.
Ricordo la visita alla Basilica di San Marco, gratuita, ricordo anche di esser salito sulla Torre dell’orologio (una citazione prattiana da L’Asso di picche); bevvi per sfida al prezzo una Coca-cola al Caffè Florian, mentre pranzai (grazie a quell’articolo) in Cannaregio, alla Trattoria La Maddalena sulla Strada Nuova.

SQ: e poi?
SA: direi visite quasi “disintossicanti” negli anni successivi, di solito in giornata; spesso buttavo una moneta nel Canal Grande quando andavo verso la stazione di Santa Lucia per rientrare a Milano.

SQ: “pellegrinaggi prattiani”?
SA: non proprio.
Certo quella frase: “Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti …” ([6]), ma allora non c’era internet e se erano magici e nascosti almeno una ragione per faticare a trovarli c’era, così mi accontentai di incappare abbastanza facilmente nel Ponte delle Maravegie (o meraviglie).
Piuttosto, in ragione della sua citazione da parte di Alberto Ongaro nel suo romanzo, decisi di andare una volta a cena al Poste Vecie: una trattoria di fronte al mercato del pesce di Rialto, con un ponticello da attraversare per arrivare alla sua porta. Entrai e mi misero a un tavolo da due, non c’era molta gente, su un muro vicino a me stava un blow-up di una foto in bianco e nero di Hugo Pratt, già ne ho scritto, posso aggiungere solo che ritraeva il Pratt classico: pantaloni un po’ larghi, camicia e cardigan, un impermeabile chiaro proprio come quello nelle foto della famosa intervista dedicatagli da Alberto Ongaro e intitolata: “Una sera con Pratt, l’Orson Welles dei fumetti” ([7]). Oggi quella foto non c’è più, chissà chi la scattò.
Meglio lasciarsi portare dal fato quindi.

SQ: fato?
SA: nel 1982, mi sembra, andai per il carnevale, di cui vidi poco e serate senza uscite in città, ma il portiere del piccolo albergo dove ero sceso alla mia domanda se poteva indicarmi un ristorante, mi disse che ce ne era uno nuovo, ma un poco strano perché aveva la carta del macellaio per tovaglie e un nome curioso: Corte Sconta. Tradussi in Corto Maltese: Corte Sconta detta Arcana era il titolo della già citata avventura del marinaio de La Valletta ambientata in parte proprio a Venezia ([8]).

SQ: “enters Cipriani”?
SA: eh sì, siamo finalmente arrivati anche in Calle Vallaresso.
Così come avevo chiesto per i miei 18 anni di andare a cena al Savini di Milano ([9]), per i 50 anni di mio padre nel novembre 1983 dissi: “perché non festeggiamo a Venezia al ([10]) Harry’s Bar?” E la proposta fu accettata.
Se ben ricordo, finì che ci cenammo due sere di fila, comunque nelle gite in laguna con i miei genitori, si cenava lì.

SQ: e poi?
SA: beh io presi ad andare al Corte Sconta come “mio” ristorante con amici o da solo, finché un giorno non scoprii che era diventato più conveniente Cipriani: sic transit, eccetera.

SQ: aneddoti o curiosità del bar più famoso del mondo?
SA: senza andare troppo sul personale, diciamo che ce ne è uno uguale e contrario: apparve su Panorama (il settimanale) la piantina della sala che io chiamo “dabbasso” e che è quella storica ([11]) di “stanza”; da allora mi sono sempre divertito nella “raccolta” dei tavoli da me occupati: ricordo addirittura il “senatoriale” n. 1 occupato da solo, un mezzogiorno; ma quello cui sono più affezionato (dal 12 aprile 1997) è il n. 4, che però non sapevo ancora se fosse – come fu – “il tavolo di” Orson Welles ([12]) oppure “di” Ernest Hemingway ed io continuo sempre ad inchinarmi al primo ([13]).

SQ: i Cipriani?
SA: beh a parte quando Giovanna ci assistette (al primo piano) nella seconda cena del novembre 1983, sua sorella Carmela fu mia collega in un noto studio legale milanese, suo fratello Giuseppe potrei averlo incrociato anche al Harry’s Cipriani di New York ([14]).
Nel giugno 2018, in occasione di un premio giornalistico sono finalmente riuscito ad avere due dediche da Arrigo Cipriani, che ovviamente ho incrociato molte volte ([15]): una sul precitato Prigioniero e l’altra sulla mia copia di Eloisa e il Bellini ([16]), sua prima fatica letteraria che uscì mentre ero a studiare alla Columbia University, il che scusa il fatto che la mia copia sia della seconda edizione.

SQ: curiosità e casualità lagunari tue?
SA: sicuramente la più buffa fu quando andai a Venezia per vedere una mostra su Hugo Pratt e la sera al concerto dei Prozac + a Marghera in un centro sociale: era il 18 maggio 1996 e nell’attesa del concerto pensavo al fatto che avevo pranzato al Harry’s Bar, un bel contrasto.

SQ: ma Venezia non finisce mai?
SA: no, finisce, per più ragioni.
Però occorre evocare ancora due personaggi senza i quali la mia Venezia sarebbe meno personale.
Uno è Claudio (Ponzio), fra parentesi il cognome perché un barman si apostrofa per nome: sorta di timoniere del Harry’s Bar finché non ha deciso che la missione era compiuta. Inimitabile, ti faceva sentire il cliente più importante, l’attenzione di una vista a 360 gradi (non è un cliché), la battuta tagliente (il mio zaino lo chiamava “il paracadute”) ([17]). Senza di lui il locale (ecco perché ha senso stare di sotto, di sopra non c’è bancone del bar) non è lo stesso, comunque.
L’altro personaggio è anche un fumetto …

SQ: in che senso?
SA: perché si tratta della belga Anne Frognier, la moglie veneziana di Hugo Pratt, la mamma di Silvina e Giona, il viso di Anna della/nella Giungla ovvero Anna (ma Ann nell’edizione sudamericana) Livingstone.
Questa signora, con cui il “fumettaro” visse a Malamocco (cucendogli anche pantaloni: i tempi erano duri), cercai di rintracciarla all’epoca in cui avevo deciso di scrivere la mia biografia del suo ex-marito. Ci riuscii e andammo (andammo, io e …) a trovarla un pomeriggio d’estate a Malamocco, sempre in quella casa che risultava sull’elenco telefonico di Venezia consultato un quarto di secolo prima alla stazione ferroviaria di Venezia, aspettando il treno per Milano, arrivavamo da San Marco, dopo un pranzo in Calle Vallaresso.
Le facemmo evidentemente una buona impressione, perché fissammo un altro incontro a breve con pranzo, e ci preparò degli ottimi gamberi alla griglia, accompagnati da insalata e vino bianco fresco (ricordo un piccolo aereo sopra le nostre teste sul terrazzo). Poi si andò a trovare Ivo Pavone, ormai oggi [scrivevo nel 2019] l’ultimo sopravvissuto del “gruppo dell’Asso” ([18]), e lì conobbi anche Roberto Reali, forse il più grande filologo ([19]) dell’opera prattiana, con cui intrapresi una fruttuosa corrispondenza e amicizia epistolare, purtroppo anche Reali è morto anni fa.
Decisi di non scrivere la biografia e di tenermi le sue “storie” del famoso ex marito.

SQ: e adesso?
SA: Corto Maltese disse: “Fermarsi nel passato come fa lei... è come custodire un cimitero” ([20]).
Oltre a Venezia c’è Berlino, c’è stata Londra, come New York City, … ne ho già scritto.  


                                                                                                                      Steg





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[1] Fin dalla terza o quarta elementare la cartella era stata sostituita da giberne o bisacce/tascapane army surplus comprate alla Fiera di Senigallia.  
[2] Per soldatini scala 32 Airfix e modelli in metallo di mezzi militari Solido. Per conto mio scoprii i soldatini della francese Starlux, ma questa è altra storia.
[5] L’angelo della finestra d’oriente. Titolo ispirato da Gustav Meyerink, L’angelo della finestra d’occidente.
[6] Così si apre Corte Sconta detta Arcana.
[7] L’Europeo, n. 43, 25 ottobre 1973. Si trova riprodotta nella prima edizione di Gianni BRUNORO, Corto come un romanzo: Bari, Edizioni Dedalo, gennaio 1984.
[8] Tutta veneziana invece è Sirat Al Bunduqiyyah, meglio nota come Favola di Venezia.
[9] Negli anni a seguire questo storico ritrovo ebbe un rilancio non da poco e la nostra famiglia un trattamento … beh come Cipriani tratta i Veneziani, diciamo.
[10] Rimane un mio vezzo di grafia e pronuncia, essendo la h aspirata.
[11] Si veda Arrigo Cipriani, Prigioniero di una stanza a Venezia, Milano, Feltrinelli, 2009.
[13] Il che mi ha anche condotto al Chicote di Madrid, perché altrimenti i compiti non sarebbero fatti.
[14] Dove ai primi di maggio del 1987 festeggiai con la mia amica VM il conseguimento del mio e del suo LL.M.
[16] Milano, Longanesi, 1986.
[18] Rammento che Alberto Ongaro è morto il 23 marzo 2018.
[19] Essendo il biografo più accreditato Dominique Petitfaux.
[20] Da Una ballata del Mare Salato.

lunedì 8 luglio 2019

ROMANITÀ URBANA? NON PIÙ (Tombstone series – 48)


ROMANITÀ URBANA? NON PIÙ
(Tombstone series – 48)

Ma la romanità urbana, quella “tambu-toriana” non esiste più: Stefano Tamburini è morto, Tanino Liberatore vive a Parigi e Roma artisticamente non interessa più a nessuno (morti anche Franco Angeli, Tano Festa e Mario Schifano).

“….”.
Come?
“ZNORT!”



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mercoledì 3 luglio 2019

I RAGAZZINI DELL’ELIPORTO DI MILANO (ovvero circa i miei anni alle elementari) (Steg about Steg Series - 2)


I RAGAZZINI DELL’ELIPORTO DI MILANO

(ovvero circa i miei anni alle elementari)

(Steg about Steg Series - 2)

 

Fascia di anni: circa 1964-1970 ([1]).

 

Steg Question: cosa c’entra l’eliporto?

Steg Answer: avevamo traslocato, primavera 1964 mi pare, in questa via – Francesco Algarotti – cortissima nel lato iniziale (il nostro): solo numeri pari, sul lato di fronte un vivaio-serra di piante del “vecchio”, per noi, Signor Fumagalli.

Di fronte al vivaio, attraversata la strada ([2]), un distributore di benzina con autolavaggio e poi un terreno incolto più o meno attraversato da lingue di asfalto che conduceva, in fondo in fondo, a Piazza Carbonari: l’ex eliporto appunto che tutti chiamavano “eliporto”.

 

SQ: dunque?

SA: ero troppo piccolo per avere avuto amici stabili della vecchia zona (non molto distante da casa nuova in verità), credo che ci sia stata una sorta di “limbo” di amicizie nell’ultimo anno di asilo, ma cominciai a conoscerei miei coetanei o quasi intorno a casa.

E alla fine si andava a giocare all’eliporto quasi sempre, attraversando la strada da soli, noi seienni. In breve con le biciclette divenne punto di ritrovo anche per “andare a fare un giro”.

 

SQ: gli amici e compagni di gioco?

SA: beh la serra in qualche modo divideva due mondi che si incontravano a scuola (probabilmente i mondi erano di più, ma per noi …), l’altro mondo era Via Paoli.

Quindi c’erano gli amici dell’isolato vero e proprio: Massimo, Roberto, il giovanissimo Gigi (e le sue sorelle Iole, Susanna e Silvia ([3])). Poi “quelli di Via Paoli” perché qualcuno di loro era nella stessa mia classe: Franco B. con fratello maggiore (e un cocker fra i primi che vidi), Ettore B. la cui mamma era stata compagna di scuola della mia, il famoso “il Pxxxdi” ([4]) autentico portavoce della piromania dei sottodecenni (fra cui militavamo direi noi tutti) e il suo alcool denaturato per bruciare l’erba verde dei praticelli dei giardini condominiali.

Poi c’erano gli amici “sganciati” frequentati più o meno saltuariamente, figli di amici dei miei genitori: i fissi erano Marco, Gigi (e il piccolo Peppo) che per un po’ abitarono nello stesso palazzo poi si trasferirono fuori zona.

Come già ho scritto con felice sintesi: “gli amici sono eterogenei, una vera diagonale sociale in cui nessuno invidia nessuno e la merenda si fa a casa di quello di cui si è a casa”.

 

SQ: i fumetti?

SA: beh qui il discorso si fa articolato.

In casa entrano Topolino e altre pubblicazioni Disney-Mondadori, poi in modo sporadico di tutto (forse un albo dei Classici Audacia, un albetto di Superman però chiamato Nembo Kid) e proprio dal 1965, che è l’anno di svolta scolastico per me, Linus tutti i mesi.

Mi sarà sempre contestato negli ultimi tre anni di “sezione B” alla scuola Galvani che non leggevo libri e ciò penalizzava il mio Italiano scritto. La mia lentissima riscossa, totale, partì con Il giornalino di Giamburrasca.

 

SQ: poi c’è una sorta di pagina milanese che non disdegni riprendere.

SA: è Diabolik.

Per quanto qui rileva, scrissi anni fa in questa sede: “Le graziose gemelle le vedo a casa loro: San Siro? Da qualche parte verso il 1970, io viaggio sui dieci anni abbondanti, loro circa qualche mese meno ([5]). Casa con piscina.

Pomeriggio, telefilm della serie Flipper alla tv. Una loro nonna a badare su di noi, se ben ricordo.

Giornata di sole: qualche albo di Diabolik portato a bordo piscina. Le gemelle, ricordo solo il nome di una di loro: Valeria, mi dicono – più o meno – che Diabolik si può leggere più o meno tollerati dalla loro madre, ma Kriminal ... Quello davvero è per i grandi.”.

Ecco, Diabolik era l’unico fumetto “milanese”, Linus era una rivista quindi altro.

Poi quando passava davanti all'eliporto una Jaguar E-type noi appunto dicevamo: “guarda l’auto di Diabolik”; forse una volta ne passò una cabriolet ([6]).

 

SQ: e gli adulti?

SA: per noi i “grandi”. O erano i genitori degli amici, oppure strane figure incrociate al bar o, ancora, al tavolo del poker casalingo della domenica. Due esempi.

L’Armando, un giovanotto frequentante un bar-osteria a fianco dell’eliporto che mi aveva preso a mascotte (mi è capitato spesso: ero trattato da persona, solo più giovane) e mi regalava i chewing-gum della Wrigley’s. Un giorno sentii la canzone “L’Armando” cantata da Jannacci (dovevo essere sui quattro anni, però) e finché non lo rividi fui un po’ preoccupato per la sua incolumità.

Un collega giornalista di mio padre, non buon giocatore, che talvolta mi dava una mancetta portafortuna (per lui) prima di cominciare il pokerino, se vinceva altra mancetta non infrequentemente.

Poi la mamma dell’Ettore B. che mi insegnò il poker alla fine di una festa di compleanno del figlio.

 

SQ: il bar?

SA: altro anello di congiunzione generazionale. Quello dei genitori di Roberto P. evidentemente il più rilevante; ci andavo anche con papà a giocare a flipper prima di cena se ero di nuovo a casa intorno alle sette di sera.

Noi Coca-cola in bottiglia con la cannuccia, i grandi le loro cose: spruzzati, “camparini” in sequenza, “dammi un baby” …

 

SQ: altri negozi?

SA: di fianco al bar dei P. c’è il cartolaio nella cui vetrina troviamo i modellini che ci fanno sognare (oltre i terribili opuscoli per le ricerche scolastiche); qualche isolato più giù in Via Pola quello di giocattoli dove sicuramente abbiamo comprato una Aston Martin di 007, oppure un Yellow Submarine strano come quello del film che non abbiamo visto (Missione Goldfinger sì), con papà da Movo di Piazza Principessa Clotilde per i soldatini.

I 45 giri si comprano nel negozio di elettrodomestici che, già verso il 1968, vende anche le prime MC7 “compilate” con i successi della Hit Parade (presentata da Lelio Luttazzi) o di Bandiera Gialla (condotta da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni), due trasmissioni RAI perché le radio libere ancora non c’erano.

Terribili tagli di capelli dal barbiere a fianco.

Ovviamente, il centro di Milano era altra cosa: Noé e Nano Bleu erano i templi dei giocattoli; il bar all’ultimo piano de La Rinascente oppure La Racchetta (in un futuro non lontanissimo divenuto primo Burghy di Italia) dove si beveva anche il latte di mandorle (versione chic della orzata).

 

SQ: spedizioni, vostre?

SA: tutte in bicicletta, spesso senza meta. Siam sempre tornati a casa sani e salvi.

Pochissime botte fra noi; frequenti graffiature e sbucciature di ginocchia, gomiti ed avambracci.

Precisazione: io ero fuori da tutto quello che fosse calcio.

E nessun uomo nero ci ha traumatizzato ([7]).

 

SQ: televisione?

SA: mi limito allo stretto indispensabile.

O TV dei Ragazzi (cui si aggiunse quella dei piccoli prima) e a dormire prima di Carosello, o TV fino a Carosello, e sabato magari uno strappo all’orario. E dalla mia seconda elementare in poi direi forse fino alle 22.00 licenza di video.

Ricordo quindi pezzi di Maigret, Sherlock Holmes, La freccia nera (del primo e del terzo imperdibili le sigle), il Giamburrasca diretto da Lina Wertmüller … ricordo un temibile Paolo Stoppa … e per la televisione pomeridiana onore a Sergio Tofano, Paolo Poli e a “I racconti del faro”, nonché a quel classico perso che furono le serie di “Giovanna, la nonna del Corsaro Nero”.

 

SQ: film?

SA: dipendeva un po’ da chi ti portava, direi (non essendo io uno da oratorio). Morta mia nonna materna che io neanche arrivavo ai quattro anni e cinque mesi, western col nonno paterno, ma Per un pugno di dollari visto con mia mamma come anche Mary Poppins, “gli 007”, eccetera.

 

SA: direi che è ora di andare.

Ma ribadisco un altro concetto: siamo cresciuti non obesi, non storpi, non analfabeti di ritorno, abbiamo fatto le nostre stupidate, abbiamo guardato la televisione e letto più fumetti che libri, siamo cresciuti come siamo cresciuti.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

ADDENDUM

 

SQ: cosa ti è tornato in mente?

SA: mah due simboli del decennio precedente (uno barthesiano, come noto almeno a chi ha un serio interesse per i miti moderni) che però divennero diciamo così visibili in Italia negli anni sessanta.

La macchina fotografica Rolleiflex che usavi inquadrando dall’alto e che sembrava meno ostica.

E, soprattutto, la Citroën DS ([8]): credo che ce ne siano state due in famiglia, se ben ricordo, la prima color bordeaux e la seconda grigia: i viaggi erano divertenti e il sedile posteriore per me solo (o quasi: qualche piccolo bagaglio) era una specie di regno; diciamo che “la dea” non si capisce se non ci si ha viaggiato, poi scoprii un po’ più grande la famosa storia ([9]) dell’attentato a DeGaulle.

 

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

 

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[1] Alcuni materiali sono presi o ripresi dal post https://steg-speakerscorner.blogspot.com/2012/05/keith-moon-mi-ricorda-il-mio-amico-gigi.html e forse qualcosa da https://steg-speakerscorner.blogspot.com/2012/03/danger-diabolik-50-anni-febbraio-1987.html.
[2] Via Pola e Via Luigi Galvani senza soluzione di continuità.
[3] RIP per quest’ultima, deceduta qualche anno fa.
[4] Raro caso, per l’epoca, di nominato per cognome, ma degno di articolo determinativo alla milanese.
[5] Figlie della sorella di un’amica di famiglia, Nuccia, sorta di mia zia adottiva.
[6] Ma mi fermo qui, altrimenti mi metto a riprendere troppo di quanto già scritto a suo proposito però con cisiderazioni di me adulto.
[7] Ma forse il mio maestro di terza, quarta e quinta … Non si spinse mai oltre una soglia evidente, e piaceva alle nostre mamme, quindi chissà.
[8] Potete partire da qui: https://faminorehome.wordpress.com/2019/08/29/roland-barthes-la-bellezza-senza-tempo-della-citroen-ds/
[9] Si veda ad esempio: https://autologia.net/cinema-e-auto-la-ds-lo-sciacallo-ventura-maccione-e-brel/


lunedì 1 luglio 2019

I DIAFRAMMA (Tombstone series – 47)


I DIAFRAMMA

(Tombstone series – 47)

I Diaframma di Federico Fiumani sono (stati?) i veri Afterhours.
(E forse in un maschile conteggio su chi “se ne è fatte di più” F.F. batte M.A.)

                                                                                                                      Steg




Frontespizio del capitolo dedicatogli nel volume
Gli altri ottanta (a cura di Livia Satriano),
copia dell'autore



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