"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



mercoledì 30 maggio 2018

PREFAZIONE A “CENTOUNO CANZONI TRISTI” (oppure un altro post salvato dal rischio di oblio)


PREFAZIONE A “CENTOUNO CANZONI TRISTI”
(oppure un altro post salvato dal rischio di oblio)

 

Sono contrario a certa editoria che è fiorita negli ultimi anni: si tratta della “1001” in cui si impongono libri da leggere, film da vedere, album (perché non singoli?) da ascoltare, luoghi da visitare, … sicuramente c’è altro ([1]).

 

Mi hanno proposto di prefare un volume dedicato a “101 canzoni tristi”: ho accettato a una condizione: prefare senza conoscere le canzoni e postfare conoscendole.

Non vedo rischi per me, qualcuno per i due autori, di cui uno è un amico, vero anche se ci siamo conosciuti via internet.

 

Ma ... accade per la terza volta, di cui una ormai andata a male. Io sono puntuale nelle note di copertina (gli altri due casi) o nella prefazione i committenti meno: dopo la tardiva uscita dell’album split di Jumpers/198X ([2]), dopo il non utilizzo delle mie note per la tardivissima uscita dell’antologia di The Gags ([3]), ora non so quando uscirà il libro sulle canzoni tristi.

Siccome il mio lavoro c’è e non rimpiango nulla (da buon legionario del web) ecco a voi il post, scritto sei mesi fa: nessun problema mi occupo di classici e non di successi da un’estate.

 

*     *     *

 

Io mi azzardo a elencare qualche canzone, che credo non sia presente. Sono canzoni tristi? Non necessariamente, ma possono essere commoventi e indurre alle lacrime, magari.

Ed allora, in ordine cronologico:

  • “Dove andranno a finire i palloncini” (Renato Rascel: autore e interprete): poetica, ma un bambino solitamente rimane male quando gli sfugge un palloncino;
  • “Il pinguino innamorato” (di Rastelli, Casirolo, M. C. Consiglio; interpretazione più nota quella del Trio Lescano): “s’è sparato il bel pinguino in frac” (dal testo), per amore;
  • “Johnny Remember Me” (di Geoff Goddard; portata al successo da John Leyton): una ragazza morta visita il suo amato;
  • “Leader Of The Pack” (di G. “Shadow” Morton, J. Barry, E. Greenwich; probabilmente il più grande successo delle Shangri-Las): qui muore il ragazzo, in moto;
  • “New York Tendaberry” (Laura Nyro: autrice e interprete): inno alla città, mi mette sempre addosso grandissima malinconia nonostante il tema;
  • “Behind Blue Eyes” (autore Pete Townshend; nella interpretazione di The Who o sua): quando l’incomprensione altrui ti fa male;
  • “Frankie Teardrop” (autori e interpeti Suicide): il protagonista, in povertà, uccide moglie e figlio e poi si suicida;
  • “My My, Hey Hey (Out of the Blue”) oppure “Hey Hey, My My (Into the Black) (autore, della prima insieme a tale Blackburn, e interprete più noto Neil Young)”: non credo servano spiegazioni;
  • “Painted Bird” (autrice testo Siouxsie Sioux, musica Siouxsie and the Banshees; versione di Siouxsie and the Banshees): ispirata dall’omonimo romanzo di Jerzy Kosińky;
  • “Des Heures Hindoues” (di Etienne Daho/Patrick Munday; nella interpretazione di Daho): nessuna attinenza con la successiva canzone gallagheriana, splendido video che cita ampiamente il pittore Francis Bacon;
  • “Small Black Flowers That Grow Up In The Sky” (testo Richey James, musica Manic Street Preachers; versione dei Manic Street Preachers): no comment eccetto che potrei aggiungerne almeno altre due di questo gruppo;
  • “The Masterplan” (autore Noel Gallagher; interpretata dagli Oasis con Noel Gallagher alla voce): Manchester al suo massimo grigio senza scomodare i santificati The Smiths;
  • “Weak Become Heroes” (autore e interprete The Streets): finirai comunque adulto, e male.

Questo elenco (diciamo un tredici per cento, mi sembrava corretto; nessuna colonna sonora) ha significati plurimi: la personalità delle canzoni che inducono tristezza (e che non hanno necessariamente un arco temporale creativo obbligato), e non a tutti gli ascolti (un paio qui sì); ragioni oggettive che potrebbero renderle tristi ma non per tutti (trattasi di variante); canzoni che diventano tristi nel tempo (causa autore o interprete o ascoltatore). Ma non basta.

 

Provocazione: esistono canzoni allegre nel repertorio dei Joy Division? Un paio, forse.
Quando è che Johnny Cash diventa triste? Nel periodo finale della sua vita?
Perché non ho inserito Luigi Tenco o qualcosa da una colonna musicale/sonora di un film?

 

Magari, poi, fate il conto con quante canzoni del mio elenco avete pianto e/o vi siete sentiti tristi, e perché.
Ah, senza scordarvi che: uno può anche piangere di rabbia, quindi “Let’s be careful out there!(Sgt. Phil Esterhaus alla riunione mattutina: Hill Street Blues, serie televisiva la cui colonna musicale e sonora insieme ad altre ha ispirato a Pete Townshend “Mike Post Theme” ([4])).

 

Ed ora? Magari arriverà anche il libro, con o senza questa prefazione (in forma originale o modificata).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

© 2018 Steg, Milano, Italia.
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lunedì 21 maggio 2018

NOI ERAVAMO … … OVVERO PRO 1977


NOI ERAVAMO …
… OVVERO PRO 1977

 

Sono spesso infastidito, come un rinoceronte da parte di un insetto che cerca di pungergli la schiena (ma tant’è), da parte di quelli che – in sintesi – dicono: “eh ma che noia! Basta con voi e il punk”. Di solito, sono persone che essendo nati pochi anni dopo di noi hanno semplicemente mancato un momento unico: perché il grunge (o i Nirvana?) non fu mondiale nelle proprie origini. Una piccola conferma di ciò arriva dall’album The Spaghetti Incident dei Guns n’ Roses: basta leggere titoli e artisti interpretati in questa antologia generazionale.

 

Mancare il punk, per mero dato anagrafico, ha avuto una conseguenza piuttosto, e ulteriormente, grave: aver perso anche il post-punk (o after punk, o  …) che ha una inafferrabilità assoluta ([1]), se ad esempio si considera che Suicide o Neu! o Kraftwerk cavalcavano e scavalcavano il punk (vogliamo anche metterci i Silver Apples?).  

 

È una premessa quella qui sopra? Alla apparenza.
Invece, forse è una chiave di lettura, oppure una conclusione anticipata. Forse

 

Noi eravamo: leggeri come Ussari.
Noi eravamo: fedeli come la Vecchia Guardia Napoleonica ([2]).
Noi eravamo: individualisti come gli Arditi in azione.
Noi eravamo: senza patria eppure con un solo credo come i Legionari di Aubagne.  
Perché? Perché riuscivamo ad essere seri e flessibili, monolitici ed eclettici: come tutto ciò che ornava i nostri “cuoi” ([3]).

 

Talvolta c’erano degli incroci fantastici, come i numeri di Vague (con la “a”) di Tom Vague ([4])): uno dedicato “agli” Antz e uno “ai” Banshees.

 

Noi in Italia per certi versi abbiamo subìto la accelerazione maggiormente: stavamo ancora assimilando Sex Pistols, The Clash, Damned, The Stranglers, Ramones, magari Ultravox! e altri … ([5]) e all’orizzonte 1978 compaiono P.I.L., Siouxsie and the Banshees e poi i ritardatari Adam and the Ants.
Senza dimenticare che la prima Human League che apre a The Rezillos nell’estate 1978 è voluta quell’autunno da Steven Severin cum Banshees nel tour di questi ultimi.

 

Fummo indubbiamente dei privilegiati casuali alla nascita.
Ma poi ci conquistammo tutto: ogni pass, ogni free drink, piccoli segni di fiducia che ci portavano ad essere i lontani componenti di famiglie di sfamigliati. Ognuno ha la sua storia …: io l’Italiano che quanto a Siouxsie and the Banshees si vedeva presentare ciascun chitarrista successivo a John McGeoch ([6]), ho incrociato madre e fratello di Siouxsie in camerino e parlato a lungo con sua sorella prima di un concerto.
P. M. con Adam Ant.
Un altro milanese di cui nemmeno ricordo il nome (lo incrociavo con il suo pastore tedesco; dovrei scartabellare libri) che probabilmente conciliava le incompatibilità di Joey e Tommy “da brudders” Ramone.

 

Senza il punk noi non varremmo quanto valiamo, non sarei potuto andare al concerto dei Damned al Teatro Orfeo di Milano nella primavera 1980 indossando la parka e alla fine di quello stesso anno preferire “To Cut A Long Story Short” a Sandinista!.

 

E quindi tutte le successive strade di ognuno di noi sono rispettabili; e tentativi di stupirci, ad esempio, gli 808 State rovinavano perché tanto i miglior Depeche Mode ci avevano fatto mordere i Front 242 mentre gli Electribe 101 li avevano recensiti sulla stampa Siouxsie e Budgie.

 

Noi, così individualisti che a costo di lesa maestà una sera dell’agosto 1981 snobbavamo The Altered Images per preferire i Ludus al London Heaven (ci sarebbero voluti altri due anni per il primo singolo di The Smiths, ma forse è meglio che mi fermi qui).

 

 

 

Nota di chiusura: questo post  nasce dal mio avere, finalmente, sintetizzato perché non capisco coloro i quali “seguono” un solo artista e – nel migliore dei casi – devono dire “David Bowie” (o peggio “David” tout court) per farsi piacere The Idiot di Iggy Pop ([7]).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] È sufficiente leggere Rip It Up And Start Again – postpunk 1978-1984 (ma sottotitolato Post-punk 1978-84 nel frontespizio…) , London, Faber and Faber, 2005 di Simon Reynolds.
[2] Preferite la Decima Legione di Giulio Cesare?
[3] Si veda il post “Cuoio e borchie (allora eravamo belli, puliti e stilisticamente pericolosi, noi)”: http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2013/04/cuoio-e-borchie-allora-eravamo-belli_15.html.
[4] Si veda il post “Tom Vague - the right side of my blog series”:  http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2011/09/tom-vague-right-side-of-my-blog-series.html.
[5] Si veda il post  “ Note sul punk in Italia e a Milano”: http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2011/08/note-sul-punk-in-italia-e-milano.html.
[6] Si veda il postMcGeochisms”: http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2011/10/mcgeochisms.html . Ma anche quello intitolato “NICO (or how fans are - mostly - still the same as thirty years ago and worth very little”: http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2012/08/nico-or-how-fans-are-mostly-still-same_29.html.