"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



sabato 29 giugno 2013

PERLE MEDIATICHE 23 – “S-GARBATAMENTE”

PERLE MEDIATICHE 23 – “S-GARBATAMENTE”
 
Non c’è grande fantasia nel mio titolo, meno ancora nella fonte di numerose perle.
 
Compro il libro Con Garbo, scritto da Michele Monina – il quale dichiara questo essere il suo “cinquantacinquesimo libro” (pag. 3) –, edito nel 2013 da CRAC Edizioni di Falconara Marittima.
 
Lasciamo perdere i meri refusi tipografici, molti.
Lasciamo stare le ripetizioni, quasi non ci sia stata rilettura.
 
Dovrebbe trattarsi di una biografia dell’artista Garbo: artista-interprete-esecutore e anche autore-compositore ([1]) di molte delle opere musicali che, appunto, egli canta.
Al libro è allegato un CD contenente 21 registrazioni fonografiche interpretate da Garbo: si tratta di “demo e inediti”. Il volume (102 pagine) io lo ho acquistato al 65% per il CD, ma avendolo letto concludo che il CD semplicemente poteva essere pubblicato da solo, magari con un bel booklet di fotografie e, anche, dei “crediti” migliori ([2]).
Di Garbo so ben poco in più di prima, in compenso leggendo il volumetto ci si sciroppa un’incomprensibile storia futuribile (?!).
 
Veniamo alle perle da me riscontrate con assoluta sicurezza.
 
La prima volta che ho conosciuto, di persona, Garbo” (pag. 11).
Dunque io posso conoscere più volte qualcuno/a, distinguendo anche fra “di persona” e non?
 
Christina F” (pag. 31). Strano, per tutti è “Christiane F.” ([3])
 
Sono fermo davanti a una vecchia cabina del teloefono, di quelle che si vedevano nei vecchi film ambientati a Londra. Quelli tipo The Avengers, per capirci” (pag. 32).
Innanzitutto The Avengers nasce come serie televisiva, l’autore scrive di film anche con riferimento a Doctor Who (pag. 43). Salvo poi, a un certo punto, correggersi e scrivere di serie TV.
Le cabine telefoniche, a Londra e in generale nel Regno Unito, quelle “vecchie” esistevano ancora negli anni ottanta del secolo scorso. In effetti, i modelli mi risultano essere dal K1 al K8 (il K7 non entrò mai in produzione), e una K6 è stata fotografata a Londra nel 2012, il riferimento probabilmente è al modello K5 o al K6 (quest’ultimo pare fosse diffuso in 73.000 esemplari ancora nel 1980).
 
hanno già eliminato tutta la scena punk americana, facendo morire di morte violenta, a metà degli anni sessanta, gente del calibro di Andy Warhol, Lou Reed, Iggy Pop e Jello Biafra” (pag. 42).
Vanno bene le licenze narrative, ma all’epoca indicata Iggy Pop non aveva ancora costituito The Psychedelic Stooges, mentre Jello Biafra aveva 7-8 anni (è del 1958).
Che poi Andy Warhol fosse da annoverare fra i punk …
 
A Milano c’è un Piazzale Bacone, non una “via” (pag. 58).
 
lei è tutelato dalla legge n. 675 sulla privacy” (pag. 66).
Queste righe si riferiscono a una “scena” ambientata nel 2012: quella legge, del 1996, è abrogata dal decreto legislativo n. 196 del 2003.
 
via Malatestastrasse” (pag. 75).
Come dire “via via Malatesta”.
 
“In French a skinny man died for a big disease with a little name. Era il millenovecentottantaquattro” (pag. 80).
La strofa esatta della canzone di Prince è “In France a skinny man died of a big disease with a little name”. Album e singolo, dal medesimo titolo: “Sign o’ The Times”, uscirono nel 1987.
 
signor Bredford”, “famiglia Bredford”, “signor Bredford” (pagg. 82 e 83).
Il cognome è Bradford, la serie televisiva in originale si intitola Eight Is Enough, in Italiano La famiglia Bradford.
 
con questa testa così rasata” (pag. 83), “fermarsi a parlare con un capellone” (pag. 85).
L’autore sta descrivendo la stessa persona.
 
mi dirigo verso la Stazione di Berlino” (pag. 91).
Quale delle molte ferroviarie? E se siamo nel 1976 a Est o a Ovest?
 
e poi ci sono tutte quelle scatolette di tonno e di carne simmenthal che io divoro neanche fossi gringo il pistolero” (pag. 97).
Come noto (essendo stato recentemente recuperato il personaggio) gringo è da riferirsi alla carne in scatola Montana.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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Tutti i diritti riservati/All Rights reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.
 



[1] Il riferimento è, al solito, alla legge n. 633 del 22 aprile 1941.
[2] Nessuna indicazione di autori e compositori delle opere musicali oggetto delle registrazioni, delle persone coinvolte nelle medesime (c’è almeno una voce femminile), e nel risvolto di copertina l’espressione, ormai da 10 anni superata, di “produttore fonografico” anziché produttore di fonogrammi (articoli 72 e seguenti legge n. 633 del 1941 citata).
[3] Ho riscontrato anche una notevole avversione a inserire i punti fermi dopo le iniziali e qualche omissione di maiuscole.

venerdì 28 giugno 2013

L’ORA PER SOGNARE (o almeno per non rimbecillirsi del tutto)


L’ORA PER SOGNARE
(o almeno per non rimbecillirsi del tutto)

 

Premetto che le riflessioni (chiamarla ispirazione mi pare eccessivo) mi sono arrivate guardando la prima mezz’ora del film Jerry Maguire ([1]).

 

All’inizio, il protagonista Jerry ha una sorta di illuminazione e trascorre molte ore della notte scrivendo.
È un cliché: dal “back to mono”, a “pochi ma buoni”, alle diete, all’attività sportiva: tutto da domani, però.

Invece, la mia proposta è più aperta: provate a dedicarvi un’ora, al giorno o alla settimana, per sognare (non per dormire). Dal punto di vista del marketing suona meglio “sognare” che “progettare”.

 

Se in quell’ora (che evidentemente può durare anche 130 minuti se ispirati, e che può anche cadere a partire dalle 02.00 di notte) non succede nulla, mai, forse siete un poco limitati. Se invece succede qualche cosa, anche solo cominciare a leggere un libro impegnativo tralasciato da anni, allora funziona.
Ma badate: l’idea di mettersi lì un’ora senza sapere cosa si farà non è fisicamente impegnativa, quindi può essere invitante anche per tutti i pigri.

 

Vi sembra una proposta cretina o anche solo banale la mia?
Eppure anche con crisi economica e disoccupazione e morale basso come commensali non invitati ma presenti ai nostri deschi, continuo a sentire persone, degne di essere ascoltate ([2]), che dichiarano: la maggior ricchezza di ciascuno è il tempo.

 

Per aver tempo occorre essere egoisti (il tempo lo si spende per se stessi, altrimenti non è nostro) e anche incoscienti.
Ecco allora scegliere con che percentuale a tempo essere egoisti e incoscienti: 1/24 oppure 1/168 della vostra giornata.

 

Certo se siete minatori con un mutuo da onorare è più faticoso: lo scrivo senza nemmeno l’ombra del sarcasmo.
Ma pensate alle ore buttate in occasioni sociali, dove gli argomenti di conversazione sono inconsistenti: tre ore a parlare di quotidiano, magari in confronto o peggio in competizione reciproca del proprio banale, vi sembrano tempo speso bene? Andare a giocare a bocce o a biliardo va bene, parlare di colesterolo o di ingorghi stradali nel fine settimana no.

 

Mi rendo conto che quanto ho scritto è l’opposto dell’episodio dell’albero degli zecchini in cui il Gatto e la Volpe ingannano Pinocchio.
Probabilmente anche il Grillo parlante è ormai disilluso.

 

Beh, se avete letto queste righe o altre del mio blog un poco di egoismo ed incoscienza li avete. Grazie.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Fra l’altro comincio a capire perché Tom Cruise non mi risulta simpatico visivamente: assomiglia nel volto a un Sid Vicious “a posto”.
[2] Non ne ascolto molte, o meglio non trattengo i discorsi che odo di molte persone, perché trovo moltissime persone sempre noiose. Dunque io ascolto, sempre, ma se mi annoio cancello i discorsi quasi automaticamente.

NON CREDO SIA UN PROBLEMA GENERAZIONALE, BENSÌ UN PROBLEMA INTELLETTUALE


NON CREDO SIA UN PROBLEMA GENERAZIONALE,
BENSÌ UN PROBLEMA INTELLETTUALE

 

“Generazionale” è un aggettivo obsoleto. Roba da Pier Vittorio Tondelli: essendo vecchio addirittura il nome proprio doppio, figuriamoci!
L’Italia è gestita da non più giovani: anche taluni degli “under 25” di Tondelli, appunto; ad esempio Enrico Brizzi e Silvia Ballestra ([1]).  È un dato anagrafico, quindi di mero fatto.
 

Ciò significa che io scrivo per dei quasi vecchi. In quanto una persona di quindici anni intelligente non sa di essere intelligente; una persona di venti anni intelligente non so cosa legge. Entrambe non leggono questo blog.
Ma non scrivo per dei, Entschuldigung: ich spräche Deutsch,  rimbecilliti.
Il fatto che il mio blog non si chiami Cassandra oppure Grillo Parlante, non fa differenza.
 
E allora?
Allora desidero chiarire che certe volte non scrivo di argomenti pseudo-attuali in quanto essi attuali non sono. Attenzione: non ho scritto inattuali.

 

Ho la pretesa che il mio blog sia popolato di “corsivi”, giornalisticamente scrivendo.
Invece rilevo come la tendenza mediatica (per tutti i media) sia quella degli pseudo-corsivisti, cioè dei corsivisti del nulla, peggio dei carmelobeniani “gazzettieri del nulla” che di loro sono matrice.
Non sufficienti i giornalisti, arrivano di rinforzo esponenti di categorie professionali inesistenti quanto ai loro risultati (ripeto: risultati ([2])): i sociologi, le ex-veline di seconda categoria ([3]), i giornalisti (soprattutto se parenti di pregressi giornalisti, vivi o morti) del pettegolezzo e basta, altri “-ologi” vari, ...
 

Aiuto io imploro nel sentire (lo ammetto: mi limito alla televisione) evocare come “ribelli meritevoli” dei tardo-defunti e degli ancora-viventi comunque ben disinfettati intellettualmente.
Mai uno/a che mi citi Quentin Crisp o Truman Capote o Kenneth Anger.
Più vecchi dei vecchi questi commentatori da gettone di presenza. Roba che Fabri Fibra è nella categoria dei geni (ripeto geni, plurale di genio non di gene) seienni inalanti colla: un ossimoro, tanto per citarne di sponda (Wild Boys, ovviamente) un altro negletto dal Premio Nobel per la letteratura: William Burroughs.
Prima o poi ci “diranno” (come se dire fosse spiegare) che Renato Vallanzasca è meglio di Fabrizio Corona: ma non motivando (appunto) la loro opinione ([4]), la quale è prettamente generazionale: il primo è più vicino a loro nel tempo e dunque apparentemente più spiegabile.

 

Vorrei le ali di un corvo berlinese, e forse anche la sua flemma, per volare alto e non essere sfiorato da questi vecchi attrezzati con ricordi vecchi e con ribellioni vecchie, tutto vecchio perché non più intellettualmente destabilizzante secondo il pensare corrente.

 

E questo è uno sfogo.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Siccome ho il coraggio delle mie azioni: portai al Tunnel, locale notturno milanese, qualche suo libro per farmelo autografare, e lei dichiarò che io ero il lettore ideale. Il lettore ha comprato i libri, quindi ben può esprimere la propria opinione.
Cito questi due nomi perché fra i più noti di quelli di cui sono sicuro che abbiano partecipato al progetto Tondelli ano originario: tre furono i volumi editi da Transeuropa.
[2] Ricordo, a me stesso, che esistono per legge professioni che non garantiscono risultati, ci sono solo “obblighi di mezzi”. Basta precisarlo al pubblico/cliente/paziente pagante.
[3] Quelle di prima categoria furono, fra le altre: Laura Freddi e Miriana Trevisan ...
[4] La mia, su entrambi, è contraddittoria e quindi troppo lunga da spiegare in poche righe. Diciamo che non avrei problemi ad essere a un tavolo di ristorante a mangiare e discutere né con l’uno né con l’altro.

domenica 23 giugno 2013

PERLE MEDIATICHE 22 - STILE E IGNORANZA (seconda puntata)


PERLE MEDIATICHE 22 - STILE E IGNORANZA
(seconda puntata)

 

Credevo che il mio numero 18 di Perle mediatiche avesse reso giustizia.
Così non è.

 

Sono di nuovo colpito da una dicitura delle pagine redazionali intitolate “Stili di vita Moda Uomo” di Sette (rivista “costola” del Corriere della Sera).
Ossessionato per la loro inesattezza.

 

Ecco così una nuova perla calzaturiera: le “[s]leepers” ([1]).

 

Prendiamola alla lontana: oltre un quarto di secolo fa, qualche giornalista scrisse ella moda anche in Italia delle scarpe “clippers”.
Ebbene, le scarpe clipper non esistevano, ma qualcuno aveva storpiato “creepers” (letteralmente “brothel creepers” ([2])) ed erano diventate “clipper”, tanto che cercando su internet si ottengono risultati riferibili alle creeper shoes anche inserendo l’espressione “clipper shoes”.

 

Ma dovevo attendere l’ignoranza attuale (perché capisco se nel 1973 a due passi dalla recessione e senza gli exploit stilistici in argomento di Lapo Elkann o Flavio Briatore qualcuno fosse andato in confusione vedendo le scarpe da camera di qualche illustre marchio calzaturiero britannico, oggi però …) per tale delizioso caso di ignoranza.

 

Non posso, quindi, che augurare un brusco risveglio ai responsabili di questo ennesimo scempio linguistico.



Incidentalmente, quelle riprodotte nella rubrica sono da classificarsi come “slippers” in categoria “loafer” ([3]).

 
 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Ho sostituito la s maiuscola con la minuscola.
Siamo a pagina 83 di Sette del 21 giugno 2013, autore Carlo Ortenzi.
[2] Come spiega sinteticamente WIKIPEDIA: “Creepers or brothel creepers are a type of shoe usually with suede uppers and thick crepe soles. They found their beginnings in the years following World War II, as soldiers based in the deserts in North Africa wore suede boots with hard-wearing crepe rubber soles because of the climate and environment. Having left the army, many of these ex-soldiers found their way to the nightspots of London wearing the same crepe-soled shoes and these became known as ‘brothel creepers’”.
[3] I poveri con stile usano tranquillamente le plimsolls; i dozzinali calzature orrende.
 

venerdì 21 giugno 2013

PERLE MEDIATICHE 21 – L’INEVITABILE



PERLE MEDIATICHE 21 – L’INEVITABILE
 
“Hey Brian, I fell off the chair!”
Life Of Brian.
Brian non è esattamente uno dei nomi propri più aristocratici in Gran Bretagna.
 
La frase virgolettata della prima riga è parte di una barzelletta di cui non mi ricordo altro: era molto in voga alla Bassetti Ltd. warehouse di Milton Keynes nell’estate del 1979, dove lavoravo come aiuto magazziniere.
Il titolo della seconda riga è quello di un’opera cinematografica di The Monty Python del 1979.
 
Siccome non esiste il divieto assoluto per me di divertirmi, faccio presente anche i titoli di due miei post che potrebbero risultare illuminanti rispetto a quello che state leggendo: “‘Perle mediatiche’: perché” e “A margine di ‘Vi presento il mio nemico’ (da Il Foglio)”.
 
Peter Guralnick pubblica il primo volume (dei due) della sua biografia su Elvis Presley nel 1994. Avete idea di quante biografie fossero già uscite su The King?
 
Lewis Brian Hopkin Jones è meglio conosciuto come Brian Jones. Fece parte dei Rolling Stones come chitarrista ed è conosciuto soprattutto in tale suo ruolo.
 
Per l’esattezza, pare però che almeno una persona lo conosca con un nome un poco diverso: Bryan Jones.
Infatti, nella propria rubrica “Effetto Note” pubblicata su Sette ([1]) del 21 giugno 2013, Mario Luzzatto Fegiz nel breve scritto intitolato “Il nuovo, l’ennesimo libro sugli Stones” ([2]) per ben due volte ([3]) scrive ([4]) “Bryan Jones”.
Stante il tono impiegato, in cui non si comprende se il titolare della rubrica dileggi o meno gli autori del libro dato per “ennesimo” ([5]), la paternità di “Bryan”, perla mediatica ripetuta, è incerta.
 
Ma una riga dopo che accade? Che Keith Richards perde la “s” finale del cognome.
 
In conclusione, forse Luzzatto Fegiz dovrebbe canticchiarsi “Gimme Shelter” ([6]), alle cui registrazioni londinesi nel 1969, puntualizzo, non partecipò Brian Jones, sebbene egli facesse ancora parte del gruppo, con la conseguenza che Keith Richards suonò sia le parti di chitarra ritmica,  sia quelle di chitarra solista (o “lead” per dirla in Inglese).
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] A pagina 91.

Sette è il settimanale del Corriere della Sera.


[2] Già qui sento scricchiolare un poco lo stile: una virgola in più avrebbe dato maggior enfasi.


[3] Entrambe alla riga 9.


[4] Date le tecnologie, non si può nemmeno più dare la colpa al tipografo.


[5] Ma si veda Guralnick.


[6] Incidentalmente anche il titolo del documentario sul tour nordamericano del 1969 conclusosi con il concerto di Altamont.
 



 
 

PIERO MANZONI (dall’arte alla merda mascherata da altro, senza ritorno)


PIERO MANZONI
(dall’arte alla merda mascherata da altro, senza ritorno)

 


Esiste un libro intitolato I Proprietari_Die Besitzer_Les Propriétaires_The Owners ([1]) che raccoglie le impressioni e le immagini di coloro che hanno l’onore di avere (in qualche caso avere avuto) uno o più esemplari della Merda d’artista di Piero Manzoni: esso si divide (nelle quattro lingue ([2])) nei seguenti capitoli: “In quali circostanze e a che prezzo ha comprato la scatola?”, “Che senso le dà?”, “Cosa c’è all’interno della scatola?”, “Pensa che un giorno vorrà separarsene?”.
Il 12 agosto 1961, in occasione di una mostra [collettiva] alla Galleria Pescetto di Albisola Marina, Piero Manzoni presenta per la prima volta in pubblico le scatolette di Merda d’artista (‘contenuto netto gr. 30, conservata al naturale, prodotta ed inscatolata nel maggio 1961’). Il prezzo fissato dall’artista per le 90 scatolette (rigorosamente numerate) corrispondeva al valore corrente dell’oro.” ([3]).
 
Piuttosto curiosamente, Piero Manzoni non è molto considerato ([4]) dal grande pubblico delle mostre d’arte (quelle mostre per le quali la gente è disposta a fare le code e poi i visitatori si comprano il manifesto ([5])), ma molti dei libri che lo riguardano dopo aver venduto poco poi diventano piuttosto ricercati: la sola spiegazione è un costante anche se ridotto interesse nei suoi confronti che induce coloro che sono interessati alla sua opera a cercare fra i pezzi della sua bibliografia.  
A riprova di questa affermazione, la prossima mostra italiana – a Milano – seguirà (se vi sarà danaro per realizzarla, soggiunge qualcuno) alla fine del 2013 la medesima mostra attualmente in corso in Germania (Frankfurt am Mein) ([6]).
 
La ragione per cui Piero Manzoni mi entusiasma è che è stato il primo a vendere “merda” e “artista”; successivamente, negli anni si è sempre venduta più “merda” con la pretesa che fosse “arte” ([7]). Per poi passare a “merda venduta per altro” (scegliete voi il genere merceologico o di servizi).
È ben nota l’inversione di ruoli: ci si dichiara merda per insultare gli altri che si pensa essere effettivamente tali ([8]).
 
Evidentemente ci voleva già cinquantadue anni fa qualcosa che risaltasse per tutti irriverente ([9]): infatti, l’Artista aveva già prodotto opere d’arte consistenti in, di volta in volta: rotoli di carta con linee impresse sopra, uova sode accompagnate dalla propria impronta digitale del pollice a inchiostro, palloni gonfiati con il proprio afflato, corpi di modelle (e altri) semplicemente firmati.
 
Quella di Piero Manzoni fu una vita breve, neanche 30 anni, da maudit lombardo di aristocratiche origini (nato a Soncino, morto a Milano di infarto - oppure no: in fondo finché il cuore non si ferma non si è morti).
La sua biografia spicciola è un disco o un CD che salta ([10]) sempre sulla stessa strofa: Milano anni ’50 e ’60 (poco poco) del secolo scorso, Brera bohémienne, Luciano Bianciardi ([11]), Bar Giamaica (dunque), blah blah blah, etc. ([12]).
 
Miei desiderata per la mostra milanese: una mappa dal titolo “Tutte le Merde di Milano” ([13]) che indichi dove si trovano le scatolette d’artista superstiti (sono ancora tante) presenti nella nostra città; una riproduzione a mo’ di fermacarte (in ottone per mantenere la grammatura totale?) della Merda: per chi ha voglia di un memento quotidiano cui ancorarsi.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
POST SCRIPTUM, POST MORTEM
 
In un mio antico post citavo Roberto Freak Antoni.
È morto stamattina, 12 febbraio 2014.
Ci sono rimasto un po’ male.
Gli Skiantos nel loro insieme non sono stati mai, invece, fra i miei pensieri.
Però …
Però nel loro album del 2009, Dio ci deve delle spiegazioni, c’è una canzone che si intitola: “Merda d’artista”.
 
Sono tranquillo, non ci saranno picchi negli accessi al mio blog in ragione della sua morte. Mi fa in fondo piacere ([14]).
 
 
 
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[1] Gli autori sono indicati come Bernard Bazile e Piero Manzoni, gli ulteriori estremi della pubblicazione sono: Villeurbane (France), Images En Manœvres Editions, 2004.
Spesso classificato come catalogo d una mostra tenutasi a Nice (Francia) quello stesso anno.
[2] Come le lingue di cui alle diciture d’etichetta delle scatolette di Merda d’artista.
[3] Così dichiara il sito ufficiale della Fondazione.
[4] Anche al Museo del ‘900 a Milano non ci sono frotte in attesa di farsi fotografare di fianco alla teca con una Merda d’artista.
[5]. Una delle visioni più tristi è quella del turista con manifesto arrotolato dopo aver visitato il Van Gogh Museum ad Amsterdam: una sensazione mista di sgangherati professori di scuola media in vacanza, di studenti affetti da nerdismo infruttuoso, di zitelle e zitelli.
Io ho smesso di comprare manifesti alle mostre dopo quella su Andy Warhol a Palazzo Grassi e già quell’acquisto fu  eccezione: comprai infatti quello “di Batman”.
[6] Con il titolo “Piero Manzoni Als Körper Kunst wurden/Piero Manzoni.When Bodies Became Art”.
[7] Magari considerando poco Andy Warhol o Mario Schifano, allora; salvo poi scoprire (tardivamente) che gli “arbitri dell’esistenza” italiani, cioè la Famiglia Agnelli di Torino, da un lato possedevano opere murali del secondo e dall’altro anche un “Gianni Agnelli” realizzato da Mister Warhola, ed allora ciò che piace agli Agnelli piace (o meglio deve piacere) all’Italia.
A scanso di equivoci: a me piacciono sia Schifano, sia Warhol, pur se non mi emozionano come Francis Bacon.
[8] Nella versione pubblicata sul blog come post del mio scritto “Tonito Memorial” non c’è questa citazione riferita ai TV Vampire, di cui egli fece parte: “il gruppo suona nel giugno di quell’anno in un festival di un circolo giovanile alla Cascina Monluè a Milano, esibendosi di fronte ad una cinquantina di spettatori ammutoliti. L’esibizione della band fila liscia: i T.V. Vampire suonano un best of punk (Neat Neat Neat, New Rose e Born to Kill dei Damned, Clash City Rockers dei Clash e Wild Youth dei Generation X) ed un paio di pezzi dei Ramones (Blitzkrieg Bop  e Commando). Episodio illuminante della serata:  uno spettatore si lamenta del sound impastato e rompitimpani, e grida al gruppo: Fermatevi! Bisogna rifare i suoni, così è una merda!!!. ‘Ma noi SIAMO merda!, gli risponde Tonito dal palco.” (tratto dalla voce “TV Vampire” dal sito internet de El Passerotto).
Puro stile Piero Manzoni.
[9] Ecco perché comprai quell’assurdo prop (dal film The Great Rock ‘n’ Roll Swindle) che era una tavoletta di cioccolata con incarto “Rotten bar” oltre un quarto di secolo fa ad una mostra di opere di Jamie Reid a Londra.
Reid citava l’artista italiano in quella e in altri prodotti, inesistenti: il Vicious burger, la Anarkee Ora, …
[10] Considerazione estemporanea: il downloading rischia di rarificare questo che, essendo un difetto di prodotto, è già eccezione.
[11] Ma precedente La vita agra.
[12] Cito a dimostrazione il catalogo (edito da Mazzotta) della mostra tenutasi nella mia città nel 1997: il sottotitolo è: Milano et mitologia. Tra l’altro, tutto in bianco e nero, una vera disgrazia (anche gli acromi hanno un colore).
[13] Si veda il film All The Vermeers in New York.
[14] Andatevi a leggere la nota 4 e il testo ivi del post precitato: “Punk prima di te?”.