"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



domenica 31 maggio 2015

NEW YORK CITY E IL SUO BEL FANTASMA (non andarci da adulti, ma solo tornarci)

NEW YORK CITY E IL SUO BEL FANTASMA
(non andarci da adulti, ma solo tornarci)
 
Questo è il quarto (ma è quasi il quinto) ([1]) post che dedico a New York.
Le angolazioni mi risultano facili non appena qualcosa me le richiama.
 
West Side Story oggi non dice molto, nemmeno il tetto con le gabbie dei piccioni di On The Waterfront. Eppure sono film marcatamente newyorkesi ([2]).
 
Probabilmente anche certe prose di Truman Capote, la terza fatica di Bret Easton Ellis o quel gioiellino di apparente leggerezza che è Fabulous Nobodies di Lee Tulloch non riescono più a dare quel gusto della Città che non dorme mai che essi hanno invece in sé.
 
E pensare che queste righe nascono dai documentari presenti nel secondo DVD di Taxi Driver in un’edizione commemorativa fuori moda (sic!), esso ormai film ([3]) che è anche un evidente omaggio alla metropoli sulle rive del Hudson, la quale per certi aspetti è diventata tutt’altro, un tutt’altro che spesso è spesso “poco” e “niente più”. Cioè novità assolutamente dimenticabili.
 
Pensavo che l’arrivo in Gotham City dall’aeroporto era di grande impatto molti anni fa.
Ma che arrivarci da Newark come spesso accade (leggi un turismo sempre più feroce e di massa) spegne molto fascino, mentre la linea d’orizzonte di Manhattan che appare venendo dal JFK o dal Laguardia un poco taglia ancora ([4]) il fiato alla ennesima visita.
 
I taxi da tempo non sono più quelle mezze scommesse gialle con le righe a scacchi bianconere anche senza aria condizionata e però sempre con quelle “partition” di metallo e plexiglass spesso un centimetro abbondante che ti mettevano in guardia ancora intorno all’inizio della decade ottanta.
 
Siamo dunque al fantasma di una certa città, con Times Square pedonalizzata per fine 2015, tanto per esemplificare mentre per tutti era comunque un lento ingorgo veicolare, e il chiosco di arruolamento nel US Marines Corp.
 
Altre cose le si dava per scontate: dunque improvvidamente non ho mai comprato una sceneggiatura di film, con la copertina di un qualche colore fluorescente, venduta su un banchetto lungo la Broadway verso la NYU.
Le ho viste per anni, poi sono sparite e della loro sparizione ci si accorge troppo tardi.
 
Curioso il destino della Nuova Amsterdam: dal suo fallimento o quasi alla sua rinascita fin troppo ordinata e pulita (tranne certe stazioni e tunnel della sua metropolitana, quelli impossibili da bonificare), con un prezzo da pagare molto alto. Cioè con l’eliminazione di pezzi della sua cronaca che stava diventando storia.
 
Ha un senso andare a New York? Probabilmente non ha senso se si hanno cinquant’anni o anche solo quaranta: a cercare ciò che non c’è più o che non è più vuol dire essere passatisti. Solo chi ci è già stato può tornarci, e magari collezionare qualche altra delusione.
Per chi ne ha venti forse è diverso, ma con l’avvertenza che molto di quello che vi propongono è, nemmeno una replica bensì, una ricostruzione ([5]).
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
POST SCRIPTUM
Raramente aggiungo a così breve distanza qualche ulteriore osservazione, ma dati i commenti di due attenti lettori, preciso.
Se si va oggi, soprattutto a 40 (o più) anni, a Gotham City per la prima volta si rischia di cercare il niente: cosa vedrete agli angoli “up To Lexington, 125 oppure “53rd and 3rd” ([6])?
Era già inutile percorrere Mercer Street (Manhattan) nel 1980.
 
A tutto il resto, aggiungo due film, utili o meno: After Hours ([7]) di Martin Scorsese e Alphabet City di Amos Poe.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
 
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[2] Sebbene il secondo sia girato nel New Jersey.
[3] Dobbiamo aspettarci cosa per il 40° anniversario del film?
[4] Il problema è il poco.
[5] Quale il significato di mangiare – specifico mangiare: tutti quelli che vanno per il solo merchandising sono dei vorrei non posso – al locale Hard Rock Café? Nessuna, eppure quello sulla 57th West Street, al civico 221, fu il secondo dopo l’originale londinese ad aprire: https://www.flickr.com/photos/johnsen/3224300971.
[6] Rispettivamente “I’m Waiting For My Man” e l’omonima “53rd and 3rd”.
[7] Quasi un nomen omen, direi.





 

venerdì 29 maggio 2015

29 MAGGIO: CALLING ALL (SELF) DESTROYERS? (Tombstone series – 18)


29 MAGGIO: CALLING ALL (SELF) DESTROYERS?
(Tombstone series – 18)

 

Soffermandosi sugli anni 1982: Romy Schneider, 1997: Jeff Buckley, 2010: Dennis Hopper, tutti morti il 29 maggio, viene da sottotitolare questa data: “calling all self destroyers”, così parafrasando una canzone non celeberrima dei T. Rex.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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domenica 10 maggio 2015

MORRISSEY “THE WILDE ONE”? NON CREDO


MORRISSEY “THE WILDE ONE”? NON CREDO

 

In una vignetta di oltre 35 anni fa pubblicata sul New Musical Express, Ray Lowry ([1]) disegna la scena in un locale in cui fa l’ingresso un personaggio stilizzato dei suoi usuali e dichiara: “I am Oscar Wilde and these are the Wilde Ones”.
 
Il giorno 8 maggio 2015, a Milano, ho seguito un convegno intitolato “Il ritratto di Oscar Wilde”.
La maggioranza delle relazioni è stata interessante, ma quella del relatore che presiedeva il consesso mi ha deluso, a parte il fatto che mi è parso di leggere negli altri relatori, tranne uno, un discreto smarrimento per il tema trattato (mia impressione?).
 
La relazione è quella del professor Alex Roger Falzon (Università di Siena), intitolata suggestivamente “*Wilde!*Pop!*& Morrissey!*”, ma in realtà dedicata per la quasi totalità a tratteggiare Morrissey come, quasi, l’erede di Oscar Wilde.
Ebbene dissento e vi spiego perché ([2]).
Precisazione preliminare: nulla quaestio sui riferimenti specifici a Mozzer, ma assolutamente  decontestualizzati rispetto a tutto il resto e portati a conclusioni che reputo eccessive.
 
1) A fronte di alcune citazioni di Ian Chambers (da Urban Rhythms – volume che forse, siccome edito in Italia, risulta molto evocato soprattutto da coloro che scrivono “di punk”) da parte del relatore, nemmeno una citazione di Dick Hebdige, cui si deve – per lo meno – un’attenzione per le sottoculture anteriore a quella di Chambers, come ben noto per lo meno agli studiosi e appassionati della materia delle sottoculture giovanili.
 
2) Mi ha poi stupito il fatto che né il professor Falzon, e nemmeno il professor Fabio Cleto (Università di Bergamo, autore di una interessante relazione e esperto del fenomeno “camp” ma anche della scena musicale britannica dagli anni settanta in poi), abbia citato il videoclip (del 1979, regia di David Mallet) della canzone “Look Back In Anger” di David Bowie, considerato che: da un lato, l’opera musicale richiama gli “angry young men” di John Osborne (citato nella relazione qui in commento), dall’altro, il video, appunto, è in parte basato proprio su The Picture Of Dorian Gray.
 
3) Michael Bracewell, come si presume noto al relatore che lo ha evocato, è il marito di Linda Mulvey, in arte Linder Sterling (Ludus e non solo), ovvero la miglior amica di Stephen Patrick Morrissey. Ben conosco England Is Mine citato.
Dunque le considerazioni di Bracewell (di cui ho letto molto, inclusa la sua “non-biografia” sui Roxy Music) sono spesso “biased” pro-Morrissey.
 
4) Quanto al cd. genere “kitchen sink drama”, ancora citato dal relatore, un ottimo contendente (e certamente caleidoscopico artista nella sua carriera) è Marc Almond, fra l’altro molto più londinese (seppur non nato nella capitale del Regno Unito) di Morrissey.
Nemmeno una parola su di lui nell’intervento qui commentato.
 
5) Di origini irlandesi è anche John Lydon. Lydon, che come Johnny Rotten nella primavera/estate 1977 fu aggredito a motivo di “God Save The Queen” da lui cantata come front-man dei Sex Pistols.
Prima autobiografia di John Lydon: titolo No Irish, No Blacks, No Dogs.
Conseguentemente, Morrissey non può essere in alcun modo considerato un unicum per l’album di The Smiths The Queen Is Dead oppure per “Margaret On The Guillottine” (dal suo album solista Viva Hate).
 
6) Si consideri, poi, il “poor dressing style” di Morrissey.
Occhiali NHS e gladioli nella tasca posteriore dei blue-jeans risalgono a lustri fa, quanto a note in argomento.
E la camicia dorata (epoca del Your Arsenal Tour e già nella data, sempre del 1992, al Finsbury Park di Londra) dirà qualcuno? Beh quella la indossava già – con cerniera lampo centrale (o era un windbreaker sul petto nudo, poco importa) – Mick Ronson nel video (tratto dall’Old Grey Whistle Test, della BBC, del 1972) di “Oh! You Pretty Things” di, ancora, David Bowie.
Anche a ritenere Oscar Wilde un recuperatore di stili d’abbigliamento anteriori, dunque un dandy di ritorno?, non c’è possibilità di sostenere che Morrissey possa essere epigono del primo in questo ambito.
 
In conclusione, ritengo che Morrissey sia un ottimo sostenitore di Oscar Wilde (ma anche delle New York Dolls, di James Dean – posseggo i due pamphlet morrisseyani loro rispettivamente dedicati –, etc.).
Egli, però, non è certo quell’unicum wildeiano che il professor Falzon vorrebbe tratteggiare.
 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Qualcuno forse lo conosce per, o anche per, i suoi lavori per The Clash.
http://en.wikipedia.org/wiki/Ray_Lowry
[2] I punti che seguono sono, essenzialmente, stati inviati anche al professor Falzon. Posto che è stato cancellato lo spazio di discussione sugli interventi.

lunedì 4 maggio 2015

IDOLATRIA (meglio un crepuscolo tempestivo)


IDOLATRIA
(meglio un crepuscolo tempestivo)

 

Scrivo queste righe – che sicuramente richiederebbero studio – quasi d’istinto, ma non di mero impulso.
 
Mi sovvengono due gruppi di riferimenti: “uccidi i tuoi idoli” ([1]) e Il crepuscolo degli dei/Il crepuscolo degli idoli ([2]). L’uno forse un poco profano e l’altro sicuramente colto e anche fonte di un terzo richiamo: La caduta degli dei ([3]).
 
Ultimamente vedo la corda (o se preferite la trama ruvida del tappeto che prima mi appariva in tutto il suo splendore) anche in coloro che mi parevano incrollabili.
Non servono nomi.
 
Certo la durata della vita non aiuta.
Certo la comunicazione continua, senza “possibilità” di riflettere ex ante, è un altro ostacolo: che sciocchezze si leggono, e quelle delle persone che si stimano danno più fastidio.
Ma insomma, l’integrità non dovrebbe essere merce deperibile.
 
Per quanto mi riguarda, superate le iniziali perplessità e sorpresa mi chiedo solamente se, alternativamente, avevo come al solito chiesto troppo a certe persone, oppure se (al contrario) avessi eccezionalmente dato indulgenza. Conoscendomi, ormai, credo che la prima ipotesi sia quella più vicina alla realtà, ma forse ho anche patito un’ottimistica miopia.
 
Concludo con un’altra doppia citazione: “gli dei se ne vanno”. Doppia in quanto esiste la versione Gli dei se ne vanno, d’Annunzio resta (in originale Les Dieux s’en vont, d’Annunzio reste) e quella, di 70 anni dopo, 1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano! ([4]).
A questo punto, una cosa è evidente: mi trovo in discreta compagnia, pur se non di ottimo umore.
 
 
                                                                                                                      Steg

 

 

 


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[1] Anzi “Kill your idols”: come scritto su una maglietta indossata (e resa celebre) da W. Axl Rose e verosimilmente ispirata dal pensiero nietzscheiano.
[2] Rispettivamente: Götterdämmerung, opera wagneriana.
Mentre il secondo, in orginale Götzen-Dämmerung, è il titolo di un’opera di Friedrich Nietzsche.
Originalmente intitolato Ozio di uno psicologo, fu poi rinominato Crepuscolo degl'idoli; come si filosofa col martello. Quest'ultimo titolo, in tedesco, è un gioco di parole sul titolo di un'opera di Richard Wagner, Il crepuscolo degli dei (Götterdämmerung).” (Wikipedia): appunto.
[3] Film diretto da Luchino Visconti che, per buona complicazione, è sottotitolato (fra parentesi) Gotterdammerung (senza umlaut).
[4] Rispettivamente il titolo di una raccolta di scritti (in parte ironica rispetto al Vate) di Filippo Tommaso Marinetti appena prima del Futurismo e il titolo di un album del gruppo musicale Area.

domenica 3 maggio 2015

PERLE MEDIATICHE 34 – CORRIERE DELLA SERA CONTRO EXPO 2015?


PERLE MEDIATICHE 34 – CORRIERE DELLA SERA CONTRO EXPO 2015?

 

Che la lingua inglese sia una delle più semplici del mondo da imparare, non significa che conoscerla renda tutti traduttori professionisti.
Ovviamente, il problema sorge quando gli errori sono del professionista della traduzione, appunto.

 

Sfoglio il supplemento, intitolato “Orizzonti Expo” (Expo torna con la sola iniziale maiuscola, in fonda è l'abbreviazione di esposizione, non un acronimo) e sottotitolato “Milano si apre al mondo”, bilingue, omaggio di venerdì 1° maggio 2015 del Corriere della Sera.

 

Già lì ho qualche perplessità sulla traduzione di aprirsi con “to open up” nella sottotitolazione in versione anglosassone (“Milan opens up to the world”), ma penso alla mia deformazione musicale, per cui associo quel verbo a “Open Up And Bleed”, una canzone di (Iggy and) The Stooges ([1]) in cui chi si apre si taglia parti del corpo.

 

Ma dove non posso transigere (confesso poi mi sono fermato) è sul fatto di aver tradotto “Di fronte al bivio di Eracle nell’Albero della vita” (pagina 5) con “The choice of Hercules in front of the Tree of Life” (pagina 6). cosi diluendo la valenza più drammatica e definitiva di “crossroad” (per bivio) con una banale scelta (“choice”), e ulteriormente sminuendo il concetto come se si trattasse di una casa che “guarda all’altra” in una via (“in front of”) anziché davanti, appunto, a qualcosa di importante (ed infatti: “before the judge”, “before the law”, etc.; non “in front of …”).

 

Chiudo ricordando a me stesso – prima che ai traduttori del supplemento, tale/i Eurologos di Milano – che, volendo tradurre “Corriere della Sera contro Expo 2015” è meglio rendere “contro” con “versus” (sebbene sia un latinismo) piuttosto che con “against”.
In fondo l’impressione che ho avuto è stata quella di un incontro di pugilato piuttosto che di una battaglia fra loro (in cui peraltro la illustre testata milanese è rimasta vittima del proprio alleato traduttore, che la ha così opposta all’esposizione che invece il quotidiano vuole sostenere).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Di quell’epoca ancora piuttosto confusa, per cui non si sa bene di chi sia l’effettiva titolarità dei diritti sulla sua (sue?) registrazione di studio. Provate con il cofanetto Heavy Liquid, e comunque con le “prove” (“rehearsals”) del 1973 a Detroit: