"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



venerdì 24 novembre 2017

DIVA (una porta segreta?)


DIVA
(una porta segreta?)

 

A scanso di equivoci per il lettore che potrebbe fermarsi alle prime righe: Diva è un romanzo e poi un film.
In ambito internazionale, se il secondo può annoverarsi fra i cult movie ([1]) il primo forse rientra nella categoria dei libri che richiederebbero maggior notorietà per essere di culto oltre le nazioni francofone ([2]) .

 
Io scoprii il film e poi seppi del romanzo, ma entrambi in Inglese.
Lo vidi, due volte consecutive (in giorni diversi) in un cinema di Baker Street, a Londra, perché era recensito in Time Out ([3]): allora bastava quello, non c’era internet eppure … Parlo di un 30 anni fa ben abbondanti. 
Fui molto colpito da diverse scelte, intanto andava via come un videoclip, con colori anche sgargianti, ma con la grana e quindi la nettezza del film.
Probabilmente notai nei titoli che era tratto da un romanzo, ma chi fosse quel Delacorta era davvero impossibile saperlo, del resto è lo pseudonimo, di uno Svizzero: Daniel Odier.
 
Tempo dopo trovai il romanzo, tradotto in Inglese e “copertinato” in omaggio alla locandina del film ([4]).
Di Delacorta lessi anche altro ([5]), ma Diva resta il suo titolo più famoso in ragione del film.
 

Come si arrivi dal libro, del 1979, al film, uscito nel 1981, lo spiega il regista, Jean-Jacques Beineix in un documentario ([6]) dedicato alla sua opera prima firmata in prima persona, da quasi trentacinquenne, come regista: una telefonata/proposta gli dice di leggere quel “polar” ([7]).
Sì, però occorre trovarla una copia: e Beineix gira per Parigi fra librerie chiuse e librerie sfornite finché  arriva, inevitabilmente verrebbe da dire, al Drugstore ([8]) di Saint Germain Des Pres (non esiste più, era nella piazza antistante la chiesa, a qualche decina di metri e un (mi pare) incrocio da Lipp (celeberrima brasserie): ivi ne recupera copia.
 

Ma passiamo al film: caveat: il “rivale” di Beineix, Luc Besson, è più giovane di lui, e il film del secondo intitolato Subway (il più vicino a Diva come stile) è uscito nel 1985.

 

Da un lato, non intendo rovinare la visione a chi ancora non conosca il film: dall’altro, mi pare poco saggio fornire chiavi di lettura.
Pertanto, vi propongo una serie di miei pensieri a fronte di una visione integrale (ma suddivisa n tre giorni) contemporanea.

 

- La trama principale può dare un salto di battito cardiaco ai fan di cantanti donne (mi capitò).

- Protagonista: Jules: (nome che a me fa venire in mente Maigret) ricorda il personaggio di Antoine Doinel – in versione ventenne ([9]) – di François Truffaut. Mia impressione?

- Deuteragonista: Alba: una minorenne, è in effetti la co-protagonista della serie di Delacorta.

- Deuteragonista: Serge Gorodish, un uomo fatto, bon vivant (dandy?) fidanzato di Alba, il quale in qualche modo opera anche come fratello maggiore di Jules.

- Fra Gorodish e Alba aleggia Serge Gainsbourg? ([10])

- Senza volersi fregiare di cultura non sempre presente: al tempo “satori” per i pochi che avevano udito la parola poteva significare: o Jack Kerouac oppure i Bauhaus. Fate voi. Quello di Gorodish, di satori, è imburrare baguette.

- La scena di Jules e Alba fuori dal negozio di dischi strizza l’occhio alla passeggiata di Belmondo e Seberg ([11]) in A Bout de souffle?

- Il cattivo, noto come “Le curé” ricorda il cattivo fra i puffi “j’aime pas” (“io odio”).

- In una Parigi livida al sorgere del giorno, le grandi statue operano come dioscuri protettivi.

 

 

DELACORTA E ALTRO

In Italia, Mondadori pubblicò nel 1981, sotto l’egida di Oreste del Buono, i romanzi Nanà e Diva.

Il secondo ebbe una edizione (stessa traduzione) Einaudi nel 2008 che merita di essere cercata in ragione della eccellente postfazione, intitolata “Controcorrente”, di Tommaso De Lorenzis nella quale si tratta anche, in modo non del tutto incidentale, di Jean-Patrick Manchette oltre che – non paia così strano di Diva: romanzo e film.


 

 
                                                                                                                      Steg

 

 

POST SCRIPTUM 2022

 

Purtroppo, tale è: Jean-Jacques Beineix è morto il 13 gennaio 2022.

Primo pensiero: lo facevo più giovane.

 

Il Regista in realtà era anche scrittore, piuttosto sui generis, in quanto aveva pubblicato nel 2006 per Fayard una ponderosa (836 pagine in tutto) autobiografia da un titolo (che è un omaggio a Stanley Kubrick) quasi ossimorico: Les chantiers de la gloire, senza indice, senza titoli dei capitoli che perciò costringe il lettore a multipli segnalibro per trovare ciò che cerca. 

Nel 2020 il suo primo romanzo: Toboggan.

 

 



copertina del volume 

dedica che recita: 'Pour Pascal, 

quelques "clichés" de la vie d'un cinéaste en attente de suite. 

Avec mes amitiés, 

Jean-Jacques Beineix


                                                                                                                      Steg

 

 

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[1] Secondo la mia definizione è un film di cui non ci si stanca mai di vedere scene isolate, anche se talvolta la visione intera può risultare faticosa oltre le prime (senza quantificazione) volte.
[2] Mi permetto due esempi di traduzioni italiane: London Fields di Martin Amis e The Crypto Amnesia Club di Michael Bracewell.
Il primo è poco noto nel nostro paese, in patria è acclamato; il secondo potrebbe essere un culto minore in Gran Bretagna, ma quante copie abbia venduto da noi francamente … 
[3] Settimanale su tutto quanto capitava a Londra e anche un poco guida a ristoranti. Anni dopo arrivarono edizioni straniere e guide turistiche (ben fatte anch’esse, almeno inizialmente).
[4] Al momento ignoro dove sia la mia copia.
[5] Questa la cronologia della “serie” fra il 1979 e il 1987: Nana, Diva, Luna, Lola, Vida, Alba.
[6] Disponibile almeno nella versione in doppio DVD del film.
[7] Tecnicamente è un polar:policier” più “noir”.
[8] Ecco, in Italia i drugstore alla parigina non ci sono mai stati; per la capitale francese sono stati (almeno due ne esistevano) fondamentale in termini teenageriali.
[9] In 5 film di Truffaut egli è protagonista: il più noto è Les Quatre Cent Coupes, ma in quel film Antoine Doinel (sempre interpretato da Jean-Pierre Léaud)è poco più che un bambino.
[10] Beh avendolo pensato vent’anni prima del documentario/intravista a Beineix il pensiero per lo meno è mio. In effetti, Gainsbourg e Jacques Dutronc furono ipotizzati per il ruolo. 
[11] Rispettivamente Michel Poiccard e Patricia Franchini, protagonisti alla pari mi sento di dire del film: godardiano nella regia, truffautiano nella sceneggiatura. 

lunedì 13 novembre 2017

NANI E GIGANTI (Tombstone series – 39)


NANI E GIGANTI (Tombstone series – 39)

 

A cosa serve stare sulle spalle dei giganti, quando si è circondati da nani?

 

 

 

                                                                                                                        Steg

 

 

 

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MORRISSEYANA (Tombstone series – 38)


MORRISSEYANA (Tombstone series – 38)

 

Morrissey è un fascista repubblicano.

 

Il sangue di Morrissey scorre sempre. Perciò egli è più miracoloso di San Gennaro.

 

Mi interrogo sull’odore del sudore di Morrissey, talvolta.

 

Un qualche declino di Morrissey è arrivato quando egli ha abbandonato i Doc Martens per i mocassini da cameriere di trattoria (toscana o romana, poco importa).

 

(I predetti quattro temi potrebbero essere suscettibili di approfondimento. Ma sarò sempre e comunque disponibile a difendere Morrissey dagli attacchi verbali di chiunque, forse anche dai miei.)

 

 

                                                                                                                        Steg

 

 

 

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venerdì 13 ottobre 2017

CE LE SCRIVIAMO E CE LE LEGGIAMO (parte seconda/son of Sniper series)


CE LE SCRIVIAMO E CE LE LEGGIAMO

(parte seconda/son of Sniper series)

 

Nel 2012 un mio post intitolato “Ce le scriviamo e ce le leggiamo” ([1]).

 

Il mio tardivo ingresso su Facebook ogni giorno mi pone davanti a sconsolanti esempi di persone che hanno almeno un diploma, leggono, eccetera. Ebbene la mia conclusione è qui sotto (Liala potete scoprirlo voi chi fu).

 

Avere coscienza delle proprie qualità autoriali aiuta a non sembrare Liala con una spilla da balia nella guancia con 40 anni di ritardo (non solo la spilla, ma anche lo stile di Liala).

Il Bacio Perugina (rectius il suo bigliettino) vomitato: lo stile ribelle su Facebook.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2012/07/ce-le-scriviamo-e-ce-le-leggiamo.html

mercoledì 11 ottobre 2017

LA INSTALLAZIONE BOWIANA (a proposito del Professor Vincenzo Trione, slight return)


LA INSTALLAZIONE BOWIANA
(a proposito del Professor Vincenzo Trione, slight return)
 
 
Il professor Vincenzo Trione, che secondo Dagospia tiene molto alla “p” maiuscola, fu lo spunto per un mio post di circa quattro anni e mezzo fa abbondanti in cui contestavo la sua tesi per cui fosse discutibile ospitare David Bowie e Bob Dylan in strutture museali ([1]).
Egli mai si premurò di replicare al mio scritto.
 
Pur essendo vero che “aquila non captat muscas” (ed il rapace non è lui), l’altra mattina mi sono svegliato con una intuizione: la mostra che diviene installazione ([2]).
Perché ormai, la mostra “David Bowie Is” è una installazione, che un poco muta ad ogni suo allestimento (con cinismo anche in ragione del prima e dopo 10 gennaio 2016), in città diverse del mondo, ormai nel numero di 11 dopo la sua prima londinese del 2013 ([3]).
 
E il Professor Trione? No lui e gli elementi che gli sono riferibili non saranno mai installabili artisticamente: perché pare che egli sia molto pedante, prevedibile e costante nei suoi comportamenti, poco stimolante per chi lo circonda.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2013/02/bob-dylan-e-david-bowie-di-arte_7.html
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Installazione_(arte)
[3] http://www.vam.ac.uk/content/articles/t/touring-exhibition-david-bowie-is/

domenica 17 settembre 2017

MARC BOLAN: 1977-2017


MARC BOLAN: 1977-2017

 

  • Marc Bolan: essere primo e morire da secondo, per primo. Rispetto a David Bowie.
  • Marc Bolan: morire secondo, dopo Elvis Presley.
  • Marc Bolan: essere una “superface” , un “very high number”, della scena mod in giovanissima età. Ma – di nuovo – essere già morto prima del sorgere della modrophenia del 1978-79.
  • Marc Bolan: padrino o quasi della onda punk (britannica) del 1977, ma molti lo etichettano come tentativo di suo rilancio.
  • Marc Bolan: dandy in the underworld è solo il titolo di una sua canzone? Perché il suo precipitare stilistico è spesso imminente, non occorre scomodare la letteratura in argomento.
  • Marc Bolan: maltrattato financo nella discografia “ragionata” postuma.
  • Marc Bolan: dopo quaranta anni dalla sua morte, egli sembra più un “si dice” che una tappa musicale importante, estinto come un Tyrannosaurus Rex piuttosto che celebrato come cigno elettrico, nonostante “tutti”: Siouxsie Sioux, Marc Almond e Bauhaus con gli altri “figli della rivoluzione”, … e – naturalmente – David Bowie.

 

 

                                                                                                                        Steg

 

 

 

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lunedì 11 settembre 2017

“ATTACCHEREMO PALAZZO MARINO IN FILOBUS” (i testi dei primi Decibel)

“ATTACCHEREMO PALAZZO MARINO IN FILOBUS”

(i testi dei primi Decibel)

 

 

Il 2017 è l’anno del ritorno sulla scena dei Decibel capitanati da Enrico Ruggeri.

Riascoltare i loro primi due album e quel singolo intermedio evasivo in quanto le canzoni altrimenti non disponibili ([1]) aiuta nuovamente a ricordare cosa succedesse a Milano a quei tempi e cosa rimanga oggi almeno nelle menti di alcuni, pochi invero.

 

Con tutta evidenza – tardiva – nell’autunno 1978 probabilmente non c’era (molto) tempo per ascoltare anche i Decibel, e forse nemmeno danaro in tasca per comprare anche quel disco ([2]): considerate un po’ quali furono le uscite di quei mesi, mentre si cercava ancora di assimilare il 1977.  

 

Con Pino Mancini (uno dei chitarristi del gruppo) divisi la classe alle scuole medie.

Ai Decibel tirammo qualche manifesto appallottolato in occasione del primo concerto (su due) che aprirono a Milano per Adam and the Ants: era il 16 ottobre 1978.

E allora? Non è questione di contarci fra superstiti 39 anni dopo, bensì di ricordarsi chi siamo, ancora, senza la pretesa di scavalcare le interpretazioni autentiche fornite da Enrico Ruggeri.

 

Il titolo del post evidentemente è una iperbole (anche perché a Milano nessuna linea filoviaria raggiunge Piazza della Scala), ma “filovia” è nel testo di una delle canzoni del primo album decibeliano.

 

 

PUNK

 

“Figli di …”.

Questo è un disco milanese, e quindi i protagonisti hanno genitori che leggono il Corriere della sera ([3]).

Siamo fuori dall’ingranaggio se abbiamo capito di cosa si sta cantando. Ancora oggi siamo “i figli”, nel senso che non siano entrati a far parte dei “servi”.

Secondo un modo di dire, a sinistra c’erano i pirla con il Burberry’s, a destra invece quelli con la giacchetta di renna. Ecco noi ci siamo salvati dagli opposti estremismi modaioli oltre che da quelli non modaioli ma in divisa (vedi eskimo), semmai indossando un giubbotto di pelle nera.

 

“Paparock”.

La censura cattocomunista (per usare un termine dell’epoca) aleggia: ecco quindi che la voce di Ruggeri è alterata e il testo della canzone non è riprodotto con gli altri.

Per fortuna noi ci siamo salvati sia dal pontefice r’n’r, sia dai preti in maglione (CL o sinistra poco importa); non è accaduto a molti.

 

“LSD Flash”.

Sono tentato di dire “fate voi”.

Poco rock ‘n’ roll di vaglia. Il sesso come droga? Ma perché LSD: metrica?

 

“Superstar”.

Ruggeri su questa canzone ha già detto e scritto più volte tutto.

Io senza di lui continuo a non pensare a John Lennon, penso al filobus (linee 90 e 91).

Concludo che il protagonista della canzone non abbia ucciso il suo idolo, perché senza il suo idolo il fan muore.

 

“Il leader”.

Mirabile sintesi della vita studentesca fra licei e istituti tecnici italiani (e milanesi in particolare) fra il 1972 e il 1978.

Sorta di completamento a contrario di “Figli di …”, con essa si spiega perché altri (ed io) ci siamo salvati grazie alla musica e al punk in particolare.  

 

“New York”.

Questo è il mio tallone d’Achille.

Avendo visitato Gotham City sin dal 1975, ho sempre sentito ingenuità fra le righe.

Comunque un po’ di Lou Reed, di Taxi Driver e di scena musicale cui si anela sono evidenti.

 

“Col dito … col dito”.

Chi ha anche “solo” 40 anni non ha la percezione del femminismo militante, che però quaranta anni fa (appunto) si scontrava con i “cazzi duri” dei compagni maschi.

Alla fine era muro contro muro fra i due sessi, tale da portare anche – e in questo io plaudo – a una sisterhood che scavalcava quasi tutte le barriere politiche.

Ma ciò posto, la canzone critica i peggiori aspetti del femminismo.

Mentre io dedico queste righe alla mia compagna di classe Stefania Bosio, femminista e fascista, picchiata dal servizio d’ordine trotzkista del liceo con regolarità impressionante.

 

“Il lavaggio del cervello”.

Si chiude come si è iniziato: dichiarando la propria non accettazione della omologazione – con qualche contentino, stavolta non a rate ([4]) bensì calcistico – entro una massa non pensante.

 

 

 

“Indigestione disko”/ “Mano armata”

 

“Indigestione disko”: verrebbe da chiedersi se serve una analisi.

La “k” ricorda quella di “Kossiga” (Francesco; che la “meritò” come ministro dell’interno nel 1977): ovvero la accezione positiva del negativo che originò nel novembre 1962 con Diabolik si era persa.

La grandezza di questa canzone (troverete analogie tematiche nella solista “Generazione combustibile” ([5])) è il disprezzo per quella dozzinale evasione dal quotidiano che era ed è la spina dorsale della sconfitta del proletariato a sinistra ([6]) ma anche e ancor di più di quella piccola e giovane borghesia impiegatizia – di cui i figli di quei proletari arrivano a far parte – che teme di perdere quanto comprato a rate (allora poche) dai propri genitori.

 

“Mano armata” ([7]).

Il proletariato – politicizzato o meno – è incazzato. Ma cambiano i modi di esprimere la rabbia.

A Milano le “batterie” (così si chiamano le bande di delinquenti) sparano. Per i boss piccoli gregari giocano a poker o a dadi, nelle bische o alla luce dei lampioni di piazze ([8]).

Ecco quindi che questa canzone (di cui esiste anche una versione con un testo più duro) fissa l’idea dell’esproprio, che non è “proletario” per ideologia di estrema sinistra, bensì per uscire dalla dimensione sociale di partenza di chi lo compie.

 

 

 

VIVO DA RE

 

“Il mio show”.

Onestamente, vedo pochi proclami.

A parte una “marchiatura” bovina della ennesima donna sbagliata, che pretende cultura, lo skerzo forse è sparksiano.

 

“Supermarket”.

Non molla la rabbia anticonsumista del primo album, con ammiccamenti testuali a una trasmissione televisiva dedicata ai fumetti (“Gli eroi di cartone”).

La miopia di chi ascolta è evidente: è la estrema destra, e non la estrema sinistra, a criticare il consumismo; la seconda lo sfrutta.

Sul tema dei consumi Ruggeri tornerà molti anni dopo con “Centri commerciali”, ma questa volta il prezzo del consumismo è ancora più alto: solitudine non volontaria.

 

“Pernod”.

Come noto, questa canzone sventa un suicidio del suo autore.

Forse anche perciò una sua nuova versione è inclusa nell’album decibeliano del 2017 Noblesse oblige.

 

“Ho in mente te”.

La cover di una canzone della Italia “complessista” ([9]) e “beat”; anni sessanta.

Certo avessero scelto “Pugni chiusi”, “Ragazzo di strada”, o “La quindicesima frustata” sarebbero stati più taglienti.

Prendiamola come la pausa in angolo fra un round e l’altro.

 

“Sepolto vivo”.

Bravi!: Edgar Allan Poe?

Kafka oppure The Damned o solamente Zio Tibia?

 

“Vivo da re”:

Quoi faire?

Autentico albatros ruggeriano, cui non credere quando anche nel 2016 egli sostiene il suo immedesimarsi in una rock star a lui estranea oppure futura.

Questa canzone sta a Enrico Ruggeri come L’infinito sta a Giacomo Leopardi, in quanto è la canzone, fra le più belle, per cui è più spesso ricordato.

Le stimmate del lost boy sono incancellabili, Ma per assurdo esse fanno male non a chi le porta, se questi accetta di portarle.

Opera musicale che mi pare insuscettibile di essere riferibile anche a una donna come voce narrante.

Non vi basta? C’è un mio post su di essa: http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2017/01/vivo-da-re.html .

 

 

“Contessa”.

Ancora vezzi musicali figli della nuova formazione: Steve Harley e i suoi Cockney Rebel?

Per tutto il resto rivolgetevi ai soliti critici musicali, anche recentemente smentiti da Ruggeri.

Il finale è ovviamente debitore di The Stranglers.

 

“A disagio”.

“Sepolto vivo” parte seconda?

Certo il tenore sia musicale sia letterario non si avvicina nemmeno alla tragedia – meno “ombelicale” di quanto si possa pensare – di “All The Madmen” di David Bowie.

Prendiamola dunque per ciò che è.

 

“Teenager”.

Vi dico Serge Gainsbourg e Jane Birkin.

Vi dico: Maurizio Arcieri e Christina Moser.

Cioè vi dico l’opposto di quanto declamano i Decibel. O no?: “rimani qui”.

 

“Tanti auguri”.

Gli spigolosi che non amano i compleanni.

Ricompare la “fossa” poeiana (qui faustiana).

fard”: se non è “Time” (ancora David Bowie ([10])) allora è la crepuscolare Gloria Swanson.

 

“Peggio per te”.

Indubbiamente esiste un problema: i Decibel (o Enrico Ruggeri) con le donne non vanno d’accordo a lungo.

Tranne con una: la destinataria di “Vivo da re”.

Occorre però essere sinceri e confessare la propria decadenza.

 

“Decibel”. ([11])

Necessariamente anthemica.

Eppure classica come l’ultimo saluto di Leonida alla propria moglie prima di partire per le Termopili.

Vinti mai: si muore solo in battaglia, la propria, dunque esistenziale. 

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Una stranezza per l’Italia, tipica prassi invece nel Regno Unito per tutto quanto originasse dal punk.
[2] Ed infatti la mia copia me la vendette Tonito.
[3] Già esistevano La Repubblica, il Giornale (allora “Nuovo”) fra i quotidiani del mattino.
[4] Repetita juvant? Comunque allora non c’erano TAN e TAEG.
[5] Dall’album Polvere.
[6] Sconfitto dalla pelliccia di (finto) visone per la moglie.
[7] Non esiste una norma che parli testualmente di “rapina a mano armata”, ma convenzionalmente tale è quella considerata nell’articolo 628, comma terzo, n. 1), del Codice Penale. 
[8] Come quella di fronte alla stazione ferroviaria di Porta Garibaldi.
[9] Si chiamavano “complessi”, allora. Poi sono venuti i gruppi e quindi le band.
[10] Ognuno ha i suoi riferimenti.
[11] Enrico Ruggeri nella sua autobiografia Sono stato più cattivo afferma che il nome deriva dalla strofa di una canzone dei Mott The Hoople, sì ma quale?
Ebbene si tratta de “The Golden Age Of Rock & Roll”, contenuta nell’album The Hoople.
Il riferimento sarebbe il seguente: “the line about ’96 Decibel freaks’ a reference to the city of Leeds attempt to impose a noise limit on rock concerts”: https://schlockmania.com/blog/mott-hoople-1974.
Per la precisione, è l’ultima riga del testo (che come la musica è di Ian Hunter): “You ninety-six decibel freaks”.
Specifico, anche, che l’album fu pubblicato con “inner sleeve” contenente i testi delle canzoni.



sabato 26 agosto 2017

JON SAVAGE: “IN ONORE DI” (Sketches series - 28)


JON SAVAGE: “IN ONORE DI”
(Sketches series - 28)

 

Questo post si pone quasi come provocazione, ma non quantitativa, esistono scritti di questa serie certo più brevi.

 
Quando penso alla letteratura musicale, sia essa consistente in articoli oppure in monografie, usualmente per me si tratta di colmare vuoti informativi.
Alla mente mi sovviene Lester Bangs, giornalista statunitense, quale primo nome.



Se si passa agli artisti, spesso sono autobiografie e allora si confida nella onestà intellettuale degli autori ([1]) oppure si rimpiange qualcosa: se David Bowie avesse tentato seriamente di descriversi, e perché Paul Weller non lo fa ([2])?

 

Ma torno al giornalismo (può essere giornalismo anche un libro) e arrivo al soggetto di queste righe.
Jon Savage, londinese e anagraficamente quasi troppo vecchio per il punk (come Caroline Coon ([3])): classe 1953; se non fosse che egli ha cominciato a scrivere col punk, attraverso la sua fanzine (anno 1976) intitolata London’s Outrage.

 
Professionalmente si forma l’anno dopo presso Sounds, eterno numero tre fra i tre settimanali musicali britannici ([4]), dei quali oggi ormai non esiste più traccia (e reggeranno le emeroteche fisiche?).

 
Egli è (o per lo meno è stato) il proprietario del mappamondo utilizzato come “prop” nell’unico “film punk” mai realizzato, se non fosse che ormai era quasi troppo tardi ([5]): Jubilee di Derek Jarman (in quella che è la sua immagine simbolo il mappamondo sta fra le mani di Jordan nei panni di una Britannia corrosa come lo era la società anglosassone del tempo).

 

L’autorevolezza Savage la conquista ([6]) con un libro che al tempo poteva considerarsi quasi impossibile: England’s Dreaming – Sex Pistols and Punk Rock, titolo mutuato appunto da un verso dei Sex Pistols ([7]), pubblicato dalla autorevolissima editrice Faber and Faber nel 1991 (autunno) e degno di edizione con copertina rigida e sovracoperta.
Autorevolezza non più persa, checché ne possa dire qualche detrattore.

 

Ogni tanto riprendo in mano un bel volume che racchiude molti degli articoli pubblicati da Savage fra il 1977 e il 1995 ([8]) intitolato Time Travel ([9]).

 

È proprio rileggendo articoli di questo autore compresi in quel “viaggio nel tempo” che ho pensato a come si onorano gli insigni giuristi, preferibilmente ancora in vita, almeno in Italia: con degli “studi in onore di” ovvero libri che raccolgono scritti redatti ad hoc da altri giuristi, su temi riferibili alla insigne figura onorata dai colleghi.


Evidentemente nulla di ciò può accadere nel mondo della musica scritta, ma Jon Savage, che non mi stanco mai di rileggere, ormai andrebbe sfilato dalla saggistica di genere e essere inserito in un panorama più autorevole, come lo è lui.
E magari sarebbe anche ora di un nuovo volume che parta dal 1996.

 




My, a bit worn, copy of the first edition 

 

Less, worn, again my copy of the first edition 



                                                                                                                        Steg

 

 

 

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[1] Ciò non toglie che io debba ancora leggere quella di Marc Almond.
[2] Weller che aveva aperto una casa editrice, eccetera.
[3] Autrice di un bel libro raccolta di suoi articoli: 1988 - The Punk Rock Explosion. Ma lei non fece mai parte effettivamente della scena
[4] New Musical Express e Melody Maker gli altri due.
[5] Tanto che mancano nella colonna sonora Siouxsie and the Banshees i quali ormai erano già altro e avevano finalmente firmato un contratto fonografico.
[6] Avendo già scritto su The Kinks alcuni anni prima.
[7]There is no future/In England’s Dreaming” (“God Save The Queen”, 1977: Rotten/Matlock/Cook/Jones).
[8] Mente il sottotitolo: From the Sex Pistols to Nirvana: pop, media and sexuality, 1977-96.
[9] Chatto & Windus, 1996.