"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



mercoledì 23 aprile 2014

FILOSOFIA DEL BAMBINO SDRAIATO SUL PAVIMENTO (“Facciamo che io ero …”)

 

 

FILOSOFIA DEL BAMBINO SDRAIATO SUL PAVIMENTO
(“Facciamo che io ero …”)









La mannaia del macellaio della celluloide colpisce cieca: cosi la breve sequenza iniziale di Rebel without a Cause viene mutilata con conseguenze gravi ([1]).
Fuor di metafora: le pizze del film nei cinematografi per lustri e lustri subiscono tagli da usura e quella scena risulta fra le più colpite. Andate a (ri?)vedervela nella sua interezza e scoprirete un capolavoro.
 
Da bambini quanto siete stati sdraiati sul pavimento di casa? In una prospettiva quasi cieca nelle vette, se non fosse che quella prospettiva non toglieva nulla ai vostri giovani pensieri, anzi li arricchiva.
 
Facciamo che io ero…”: ci hanno quasi rubato anche questo.
La benevolenza, ipocrita, adulta si impossessa – apparentemente – di formule magiche dell’infanzia. Ma esse suonano con una eco falsa, vuota e lontana.
Alla fine nelle voci degli adulti resta solo un “imperfetto passato”. Mentre siamo nel futuro glorioso proprio attraverso un tempo verbale opposto, futuro suscettibile di essere piegato a ogni volere bambino.
In base a come pronunciate quel “facciamo ...” si decide la vostra vita. O lo sapete ancora dire come allora, oppure no e siete irrimediabilmente “dei grandi”.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Jim Stark (James Dean) cammina per strada, di sera, trova un pupazzetto di peluche scartato e abbandonato, si sdraia sull’asfalto, lo culla, lo copre con la carta da regalo gettata via, come cuscino il nastro da regalo, poi si corica di fianco al giocattolo.

lunedì 21 aprile 2014

UNA “CANZONE” PER L’EXPO 2015 (“Is there life on Mars?” series - 6)


Retro della “copertina” del 45 giri


UNA “CANZONE” PER L’EXPO 2015
(“Is there life on Mars?” series - 6) ([1])


 

Ralf Hütter, Florian Schneider e Fritz Hilpert in  occasione dell’esposizione universale di Hannover del 2000 creano una canzone intitolata “Expo 2000” ed interpretata dai Kraftwerk (di cui i tre facevano allora parte).
La canzone verrà utilizzata anche come jingle nelle promozioni della manifestazione (parte del testo della canzone è il motto dell’Expo del 2000).
 
Per l’Expo 2015 di Milano, consiglierei, con anche un evidente risparmio in quanto opera musicale già esistente, l’uso di “El purtava i scarp del tennis” ([2]) (di Enzo Jannacci e Dario Fo).
È di sinistra, dunque in linea con la giunta meneghina, indica bene la situazione economica e, perché no, anche il fatto che all’Aeroporto di Linate non si può andare con la metropolitana e lo stradone porta anche all’Idroscalo ([3]).
 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Da “Life on Mars” di David Bowie.
[2] Il titolo talvolta usa il verbo italianizzato: “portava”.
[3]Che scuse’, ma mi voeri cuntav/d’un me amis che l’era anda a fa’l bagn/sul stradun, per andare all’Idroscalo” (“El purtava i scarp del tennis”).


THE VELVET UNDERGROUND: UNA OSSESSIONE



Cofanetto non ufficiale in 23 (ventitré) copie, constante di 7 CD e 3 DVD
(non parte della mia collezione) 
 
 
THE VELVET UNDERGROUND: UNA OSSESSIONE

 
Innanzitutto una precisazione a guisa di premessa: non esiste una obbligatoria coincidenza fra Lou Reed e The Velvet Underground, nemmeno ne esiste una fra John Cale e The Velvet Underground.
Però difficilmente chi valica la soglia del tempio velvetiano si disinteressa delle carriere soliste dei suoi componenti, che poi si sostanziano non solo in quelle delle due “menti” del gruppo ([1]) ma anche, checché se ne dica (attendo smentite), in quella dell’angelo teutonico Nico ([2]) ([3]).
Per contro qualcuno, non credo molti, può avere Lou Reed o John Cale, ancora più esigua la schiera dei secondi, come artista fra i preferiti senza preoccuparsi del loro passato. Forse.

 

E quasi in forma di avvertimento, più che di premessa, è da precisare che chiunque non si accontenta di ascoltare con satolla attenzione, o volevo scrivere devozione?, la produzione “regolare” (ma quale, soprattutto oggi?) dei VU (sì questa abbreviazione è ammessa), quasi subito va alla deriva in elucubrazioni che – se non fossero nobilitate dall’argomento – sarebbero assimilabili a quelle dei tifosi di calcio, con rimpianti di formazione e fantasie postume davvero incomprensibili dall’esterno e assolutamente prive di ogni rilevanza nel mondo reale e poco appeal anche intellettuale.

 

Qui, forse comincia, appunto, la ossessione.
Ipotesi di un secondo album con il cantato di Nico, sogni ad occhi aperti di un sodalizio indissolubile fra l’aquilino Gallese e il riccioluto bardo della Nuova Amsterdam, e cosi via.

 

Perché un certo giorno ci si accorge che non basterà mai tutto quanto esiste di reperibile in forma sufficientemente agevole (cioè?) di The Velvet Underground.

 

Più che incidentalmente, nel frattempo ci si accorge di altro: Andy Warhol e, “e”, la sua Factory (qualcuno ha detto Edie Sedgwick?).
Ricordo uno dei concerti meno memorabili musicalmente di Siouxsie and the Banshees: quello al Bristol Womad del 1986, ma indimenticabile sotto altri profili. La fidanzata del tempo di Steve Severin, un’adorabile e giovane ragazza soprannominata Cricket, aveva dipinto sulla schiena del suo giubbotto di tessuto jean il volto di Edie Sedgwick, appunto.

 
Ma come si arriva “li`”?
Io, come altri, grazie ([4]) al punk ([5]): un giorno rammenti una recensione e compri un disco semiufficiale stampato in Australia (ce ne sarebbe stato un secondo) ([6]), tempo dopo inciampi già nel CD di VU e/o nell’immediatamente successivo Another View.
Ancora non ci si fa molto caso, c’è tanta di quella musica nuova cui pensare!, sebbene il libro Uptight ([7]) non possa mancare nella propria, seria, biblioteca.
 

Solo anni dopo il gesto irreversibile: il leggendario cofanetto australiano, ancora, che con rigore filologico apre la porta ai devoti casuali, agli ossessivi razionali: un bell’astuccio argentato di formato lungo con tre CD dal titolo What Goes On.
 

Poi sarà tutto in discesa, o in salita, dipende dai punti di vista.
Il quintuplo Peel Slowly And See può soddisfare da solo unicamente chi si illude di essere un illuminista sonico in un’epoca nella quale il concetto di enciclopedia appare ormai e purtroppo destinato a scomparire.
 

Altrimenti si allineano e si pongono in debito ordine tutti questi frammenti, belli anche sensorialmente alla vista e al tatto (cito per tutti il quadruplo CD Caught Between The Twisted Stars) o semplicemente confortanti: sia esso il doppio ufficiale Fully Loaded o il clandestino Searching For My Mainline in versione AAD (più ricco dell’originario vinile multiplo).


Con tutta evidenza, la storia è ormai infinita e nemmeno appassionante, si è già nelle discussioni sulla prevalenza qualitativa del suono monofonico o stereofonico ben prima di quando diventi di moda, a tacere dei missaggi alternativi.
 

L’unico vero sobbalzo è una piccola favola vera: il giovanotto che letteralmente inciampa in un disco anomalo in un mercatino delle pulci manhattanita: qualche spicciolo gli assicura la proprietà dell’acetato di Norman Dolph: cioè una versione inedita del primo album, detto in parole povere.
Senza perderci troppo il sonno, degli intrepidi giapponesi ([8]) immettono sul mercato come bonus “ad altro” quell’acetato in formato CD.
Fine, sebbene in argomento Fernanda Pivano scrisse un inutile e nemmeno preciso articolo sul Corriere della Sera.
 

Playlist obbligatoria: “All Tomorrow’s Parties”, “White Light/White Heat”, “Sister Ray” e, per il testo, “Heroin”.
Bonus track, c’è lì già aria di futuro: “Rock & Roll”.
 

Non ci credete? Provate qui, allora: http://olivier.landemaine.free.fr/vu/index.html.

 

 
                                                                                                                      Steg
 

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[1] E le derivazioni poi si fanno onerose: se Cale produce l’esordio di The Stooges, David Bowie produce non solo Lou Reed ma anche Iggy & The Stooges.
[2] Prodotta da John Cale.
[3] Non me ne abbiano i “totalisti”, ma Moe Tucker e Sterling Morrison ci lasciano ben poco da ascoltare.
[4] Ci fossi arrivato prima non necessariamente sarei progredito negli ascolti.
[5] I lettori storici del blog forse lo avevano intuito.
[6] Gli album in questione sono, rispettivamente: Etc. e And So On.
[7] Di Victor Bockris e Gerard Malanga, sottotitolo: The Velvet Underground Story.
[8] Per chi volesse cimentarsi, oggi, nella ricerca: si vada a recuperare tutta la produzione della Nothing Song, nella tiratura originaria.



 

domenica 13 aprile 2014

SCIATTERIA (Tombstone series – 17)


SCIATTERIA
(Tombstone series – 17)

 

Se lo avessero, la gente lascerebbe il cartoncino del (o l’adesivo con il) prezzo attaccato anche ai profilattici.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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GENERATION X: COLLATERALI?


GENERATION X: COLLATERALI?

 
Nei miei post ricorrono spesso i (“la”?) Generation X. O meglio i suoi componenti, da me dichiarati o meno.
 

Potrei, forse come altri, definirli “bubble gum punks”.
Sarei inclemente.
 

I Generation X sono un caso in cui le unità valgono più della loro somma.
Ma non è possibile liquidarli con sufficienza.
 

Billy Idol, tralasciando la sua vita privata dove rischierei forse un paio di querele per fatti veri, è “quasi” stato un Banshee del 20 settembre 1976, tanto per dire.
 

Tony James un agente provocatore di portata incancellabile.
 

Gli album, quattro reali ma tre solo ben conosciuti ([1]) della Generazione senza volto ([2]), sono sicuramente degni di nota anche solo come trampolino per esplorazioni altresì di recupero.
Francamente “pre tutto” quanto potesse classificarsi – eccetto The Jam – come post-mod, scrivere una canzone come “Ready Steady Go” non era cosi indolore.

 
Mettere in b-side del secondo singolo una versione dub (“Wild Dub”) era meritevole (anche se magari era perché mancava una canzone) quanto una versione di “Police And Thieves”: “mamma cos’è il dub?”.
 

Che dire, poi, di quella definitiva onorificenza alla solitudine piuttosto che una compagnia d’accatto che è “Dancing With Myself”?

 
Si tratta dunque di artisti citazionisti piuttosto sottili e financo hoople-iani.

 
Pure la loro simbologia (a partire dallo pseudonimo di William Broad: molto “epoca Billy Fury”) non è banale come si potrebbe credere.
E che magliette!

 
Mi piacerebbe una bella rimpatriata – per una volta – con una ulteriore chitarra: evidentemente quella luccicante e glam-orosa di Mick “London SS” Jones ([3]).

 
 
                                                                                                                      Steg

 

 

 

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Fotografia promozionale in occasione del lancio del secondo singolo (1977)




[1] Per quello fantasma, Sweet Revenge, occorre scandagliare un cofanetto ovviamente ormai raro.
[2] Chissà: forse anche Edgar Allan Poe influenzò quello pseudonimo?
[3] In sé fattibile siccome Tony James e Jones militano nei Carbon Silicon.

giovedì 10 aprile 2014

EDDIE COCHRAN: IL BALBETTIO ADOLESCENZIALE PERFETTO (Sketches series – 14)


EDDIE COCHRAN: IL BALBETTIO ADOLESCENZIALE PERFETTO
(Sketches series – 14)

 

Eddie Cochran muore, Gene Vincent resta storpio (alla gamba sinistra già colpita da un precedente infortunio) ([1]). È il resoconto di un incidente stradale ([2]).

 

“Mi” è noto quanto io abbia a cuore Vincent, così “poco statunitensemente a posto” ([3]).
Ma Cochran ogni volta che lo ascolto mi sposta qual piuma al vento.
Tre generazioni musicali gli si sono inginocchiate davanti in riverente devozione: The Who, Marc Bolan, Sid Vicious.

 

Eppure, altrimenti non leggereste questo blog, alla fine per me: la voce narrante deve impazzire per la sua amata con i capelli raccolti a coda di cavallo, i calzini bianchi arrotolati alla caviglia, la gonna a pieghe che vola quando lui la cinge la vita in un passo di rock ‘n’ roll.
Ecco perché lui corre su – per ben venti piani! – e poi resta senza fiato ([4]) (e io con lui) ([5]).

 

Ma un altro punto di forza di questo rocker è la modernità che, appunto, lo ha reso memorabile ben oltre la contingenza storica: “Summertime Blues” e “Nervous Breakdown”.
Tanto , alla fine, mi domando: fu davvero un incidente (stradale)?
Perché, forse, Eddie Cochran si era spinto qualche anno troppo avanti a tutti gli altri.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Per i più superficiali: Gene Vincent uguale “Be-Pop-A-Lula”, canzone che inizialmente fu il b-side del singolo “Woman Love”.
[2]On 16 April 1960, while on tour in the UK, Vincent, Eddie Cochran, and songwriter Sharon Sheeley were involved in a high-speed traffic accident in a private hire taxi in Chippenham, Wiltshire. Vincent broke his ribs and collarbone and further damaged his weakened leg. Sheeley suffered a broken pelvis. Cochran, who had been thrown from the vehicle, suffered serious brain injuries and died the next day. Vincent returned to the States after the accident” (Wikipedia).
[3] Eh sì non ignoro nemmeno Buddy Holly e Carl Perkins e Jerry Lee Lewis (anche lui non “a posto”) ..., d’altronde era Joe Strummer a dichiarare provocatoriamente nel 1977 la morte di Chuck Berry.
A parte quelle due dozzine di mie visioni di American Graffiti.
Mi aspetto un commento di Glezos a questo post.
[4] “Twenty Flight Rock”.
[5] Ringraziando anche un ex componente dei Generation X.

martedì 8 aprile 2014

COLIN MACINNES: UN (ALTRO) ONE HIT WONDER LETTERARIO? (Sketches series - 13)



COLIN MACINNES: UN (ALTRO) ONE HIT WONDER LETTERARIO?

(Sketches series - 13)

 

Colin MacInnes è un nome che dice poco ([1]) al di fuori di milieu di ex ed ex-ex giovani provenienti da, o per lo meno appassionati di ([2]), stili e tribù teenageriali.

 

Nella migliore delle ipotesi, i suoi lettori hanno affrontato tre romanzi, solitamente partendo da quello che in ipotesi buona è l’unico letto: Absolute Beginners (in Italiano per quanto ne so ancora tradotto con Principianti assoluti). Gli altri due sono City Of Spades che lo precede e Mr. Love And Justice che gli succede ([3]).

 

L’eventualità più comune (ma ormai obsoleta) prevede la conoscenza ([4]) del film ([5]) tratto dal libro e la canzone omonima di David Bowie facente parte della sua colonna sonora: sempre con il titolo “Absolute Beginners”. Cioè di MacInnes quasi si ignora l’esistenza.

 

In un mondo meno popcorn, l’itinerario almeno per gli “ex” fu invece il seguente: “Absolute Beginners” canzone di The Jam (singolo dell’ottobre 1981 ([6])), quindi scoperta del romanzo e un po’ di curiosità anche per gli altri due “capitoli” della cosiddetta trilogia londinese, sebbene, magari, un battesimo letterario è dato da qualche oscuro studio sui giovani come quelli di Dick Hebdige (prima che Jon Savage diventasse quello che è) e le bibliografie che li accompagnano.

 

MacInnes, un bisessuale quando essere omosessuale (o bisessuale) per un maschio non era di moda ed era anche “illegale” nel Regno Unito ([7]), è passato alla storia per essere stato uno dei primi autori a scrivere di gioventù, immigrati e Londra.

 

Absolute Beginners in particolare si risolve in un racconto abbastanza aderente alla realtà per diventare (ecco quindi Paul Weller) un classico dei modernisti di fine anni settanta del ventesimo secolo.

Il peccato è che alla fine il suo autore è identificato ([8]) con la sua opera più conosciuta, come se avesse scritto solo quella ([9]).

Certo poteva anche andargli peggio, lo sosterrebbe probabilmente Stewart Home ricordando Terry Taylor e il suo Baron’s Court: All Change (tematiche analoghe ma successivo. Eppure … beh dovete leggere Stewart Home che cita …).

 

Per i pigri non monolingue: Jerry White http://www.londonfictions.com/colin-macinnes-absolute-beginners.html; Nick Bentley http://homepages.gold.ac.uk/london-journal/september2003/bently.html.

Per i diligenti: andatevi a cercare Tony Gould.

Per le ace faces (che potevano non leggere sino a qui): London Blues di Anthony Frewin.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Anche la voce che gli dedica Wikipedia è scarna.

Comunque: nato a Londra il 20 agosto 1914, morto di cancro il 22 aprile 1976 nella località di Hythe (Kent).

[2] Come si possa esserlo al di fuori dell’ambito accademico lo ignoro, ma non lo escludo.

[3] La bibliografia è più ampia, e si tenga conto che egli era anche giornalista: To the Victor the Spoils (1950); June In Her Spring (1952); City of Spades (1957); Absolute Beginners (1959); Mr. Love and Justice (1960); England, Half English (1961) - a collection of previously published journalism; London, City of Any Dream (1962) - photo essay; Australia and New Zealand (1964) - Time/Life Volume, All Day Saturday (1966), Sweet Saturday Night (1967) - a History of British music-hall, Westward to Laughter (1969), Three Years to Play (1970), Loving Them Both: A Study of Bisexuality (1973), Out of the Garden (1974), No Novel Reader (1975), Out of the Way: Later Essays (1980).

[4] Sebbene Richard Weight nel suo libro Mod! A Very British Style, osservi come la trasposizione cinematografica “flopped […] helping to send Britain’s biggest film company, Goldcrest, into liquidation” (pag. 296).

[5] Non mi pare un capolavoro, tanto che Julien Temple (che lo ha diretto) ha sempre continuato negli anni a venire a beneficiare della sua liaison con i Sex Pistols via Malcolm McLaren (o viceversa).

Esiste un documentario al riguardo del 1986: The Making of Absolute Beginners all’interno del programma televisivo The South Bank Show.

[6] Non facente parte degli album del gruppo, ma presente in almeno due antologie.

Il suo b-side ha resistito meglio al tempo: “Tales From The Riverbank”.

[7] “1967: Ten years after the Wolfenden Report, MP Leo Abse introduced the Sexual Offences Bill 1967 supported by Labour MP Roy Jenkins, then the Labour Home Secretary. When passed, The Sexual Offences Act decriminalised homosexual acts between two men over 21 years of age in private in England and Wales.[55] The 1967 Act did not extend to Scotland, Northern Ireland, the Channel Islands or the Isle of Man, where all homosexual behaviour remained illegal. The privacy restrictions of the act meant a third person could not be present and men could not have sex in a hotel. These restrictions were overturned in the European Court of Human Rights in 2000” (Wikipedia: “Timeline of LGBT history in Britain”).

[8] Un’eccezione la fa un altro artista britannico: Billy Bragg.

[9] Evidentemente non è solo in questa categoria: cito soltanto James M. Barrie e Jerome D. Salinger, posto che li trovate fra le mie righe.