"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)
domenica 31 gennaio 2016
VINTAGE (Tombstone series – 32)
venerdì 22 gennaio 2016
GIANNI BRERA? (Sketches series - 26)
Per quel che riguarda la critica, probabilmente i due testi recenti più rari (ringrazio Andrea Maietti quanto a Il tempo sperperato e la Fondazione Mondadori per Storia di Gianni Brera) |
GIANNI BRERA?
giovedì 14 gennaio 2016
THE BIG BRASS RING: ORSON WELLES E DAVID BOWIE (parallelismi impossibili fra due artisti incommensurabili)
THE BIG
BRASS RING: ORSON WELLES E DAVID BOWIE
(parallelismi
impossibili fra due artisti incommensurabili)
1. Un incipit interrotto.
Questo post doveva intitolarsi: “69: note minime accidentali bowiane intorno
a un numero” e lo ho iniziato il 9 gennaio 2016.
Cominciava così.
Il giorno 8
gennaio 2016 David Bowie ha compiuto 69 anni e ha pubblicato Blackstar ([1]).
Il giorno 8
gennaio 2016 ho cominciato a leggere David
Bowie ouvre le chien, di Jérôme Soligny ([2]).
Il numero 69 ([3]) è
più affascinante di una parola palindroma. Basti pensare alla hendrixiana “If
Six Was Nine” ([4]).
Più – forse? –
seriamente, questo numero evoca graficamente, o è la riflessione aritmetica, di
yin e yang.
Si parla,
dunque, di opposti e di specchi.
La mia
formazione accademica è stata forgiata da grandi Maestri e, anche, da dubbi che
si sono rivelati fondamentali.
La base di ogni,
ogni, mia lettura mia ricerca, mio approfondimento è ormai da decenni la
seguente: trova e apprendi la regola, soltanto dopo potrai affrontare le eccezioni
([5]).
2. Una prosecuzione a due voci.
Qui si
interrompeva il testo, e – indipendentemente dalla morte di David Bowie – il
suo sviluppo è diverso per due ragioni: un pensiero interrotto a metà non lo ho
più recuperato, il giorno 13 gennaio
Prima, però, una
precisazione: il libro di Soligny è molto interessante, ma leggerlo come testo
di base per conoscere David Bowie è sconsigliato, in quanto esso non offre
certezze, bensì presuppone altre e più ferme opere dedicate all’artista
britannico per mettere anche in dubbio alcune date, alcune note tecniche,
eccetera. Insomma, esso è un buon indice del fatto che anche grandissimi
artisti non sono definibili e “sicuri” come regole immutabili, a partire dal
fatto che anche loro si sono sempre dimostrati insoddisfatti di se stessi.
Orson Welles:
nato il 6 maggio
David Bowie:
nato l’8 gennaio
Anche non
considerando gli indici dell’aspettativa di vita, per cui almeno un lustro in
più d’aspettativa sarebbe attribuibile a Bowie rispetto a Welles, è evidente
che il primo nell’aspetto avesse una cera ben più sana del secondo.
Dunque, sin da
subito l’apparente vicinanza di età alla morte fra questi due figure – per le
quali anche sinonimi come colossi, giganti, titani e simili paiono
insufficienti – si risolve in un dettaglio numerico ([7]).
Due opposti
dunque? Forse non proprio.
Il titolo,
quello nuovo e definitivo, di questo post
è quello di un film non realizzato da Welles (molto rimaneggiato, apparve nel
1999 ([8]): per
la sua incomprensibilità in Italiano, esso è stato tradotto con La posta in gioco ([9]).
L’anello non è più piccolo ma è grande: dunque è una ricerca, una “quest” per l’eccellenza ([10]).
Che Welles e
Bowie fossero due ambiziosi è indubbio.
Che le loro
carriere per certi versi siano opposte anche: Welles alla prima regia è in
vetta alla cinematografia in termini sicuramente qualitativi, David Bowie deve
faticare molti anni prima di un successo “da classifica”.
Opposti, allora,
come il 6 e il 9.
Specchi: dove si
riflettono ([11]) immagini e personalità,
non lo spirito delle persone complesse.
Nella stanza
degli specchi si svolge una memorabile scena di The Lady from Shanghai diretto e interpretato da Orson Welles ([12]).
A David Bowie,
cui è sempre stato stretto (pur se ancora utilizzato – e “autorizzato” – nel
recente cofanetto [ Five Years 1969-1973
] da Ray Davies) il soprannome “camaleonte” ([13]) in
quanto questo animale cambia sì, ma non per distinguersi, certo non sono
mancate molte personalità di scena e quanto a specchi basti rammentare la
famosa immagine riflessa, che non è quella che ad esso si pone di fronte ne The Man Who Fell To Earth di cui Bowie è
protagonista ([14]).
Overbudget: il più famoso per David
Bowie fu quello per le scenografie del Diamond Dogs tour. Per Orson Welles essi
non si contano.
Progetti
incompiuti. Wikipedia dedica un capitolo ai film incompiuti o semplicemente
sceneggiati di Welles, ne ricordo tre: Don Quixote,
Heart Of Darkness e The Little Prince/Le Petit prince (incidentalmente: andate a riguardare la
copertina di Reality di David Bowie).
I progetti
incompiuti di David Bowie sono più semplici da identificare se si procede con
un elenco di canzoni registrate e non pubblicate ufficialmente o in alcun modo
pubblicate: per tutti valga l’album Toy
e gli ultimi cinque demo di cui parla Tony Visconti come possibile seguito di Blackstar ([15]).
Ecco allora il
minimo comun denominatore di due artisti diversi sin dal rispettivo aspetto
fisico (invero irrilevante per la loro fama mondiale): l’ottenimento del big brass ring o del Saint Graal ([16]): il
premio ultimo, certo dotato anche di un enorme potere.
Per entrambi
però esso alla fine si rivela non essere altro da sé, bensì solamente l’opera
d’arte ultima siccome definitiva e assoluta anche per il suo autore, non pago
di tutto quanto egli ha già creato.
In fondo, sia
Welles sia Bowie affermavano la possibilità dell’uomo di essere super, anzi di
poter aspirare financo allo status di
Supergod, ahimè mortale come tutto.
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1] Suo
ventiseiesimo album solista di studio. 25 sarebbero calcolando quello
intitolato The Buddha of Suburbia una colonna
sonora.
[2] Paris, Editions La Table Ronde, 2015.
[3]
Astenersi spiritosi per forza.
[4] Che
risale a quando Bowie era ancora un giovane artista di belle speranze o poco
più.
[5] C’era
a questo punto una lunga nota fuori testo che ho eliminato, probabilmente
l’avrei eliminata comunque.
[6]
L’eventuale luogo accidentale di morte diverso per Bowie non rileva in quanto
accidentale, appunto.
Rilevano invece le città,
opposte fra loro oggettivamente per entrambi e soggettivamente almeno per
l’artista britannico. Come ricordai in un vecchio post, Los Angeles è la città che dice “fuck me”, New York la città che dice “fuck you”; ma per Bowie la metropoli californiana fu quasi fatale,
mentre Gotham City divenne una sorta di seconda patria.
[7] A
meno di addentrarsi nei dettagli cabalistici, non è materia che sono in grado
nemmeno di accennare.
[9] Si
veda il volume contenente la sceneggiatura nella versione italiana: O. Welles, La posta in gioco, Genova, Costa &
Nolan, 1989, la spiegazione del titolo alla pagina 10 e anche https://en.wikipedia.org/wiki/Brass_ring.
[10]
Invero già nella sua dimensione normale in Inglese si parla di brass ring come sinonimo di primo premio
.
[11] Jean Cocteau: “Les miroirs feraient bien de réfléchir un
peu plus avant de renvoyer les images” (da Le sang d'un poète).
[12] E da
Rita Hayworth, allora sua moglie.
[13]
Tutto nasce con l’uso del termine da parte sua nel testo di “The Bewlay
Brothers”?
[14]
Regia di Nicolas Roeg e sceneggiatura di Paul Mayersberg (autore anche per Merry Christmas Mr. Lawrence).
[15]
Secondo una ben nota teoria, l’ultima canzone (rectius registrazione della medesima) in un album di David Bowie
suggerisce lo stile musicale dell’album successivo.
[16]
Bowie riferiva il suo interesse per il Terzo Reich anche alle ricerche del
Graal portate avanti su ordine di Hitler.