1. Il punk in
Italia “arriva”, cioè esso è – contraddittoriamente – già ben definito nei suoi
canoni e come tale resta nel nostro paese, prima percepito e poi conosciuto e
apprezzato.
Non credo si tratti di una grande scoperta: questa nazione non ha mai
prodotto novità nel rock e pop giovanile ([2]),
ma molti si arrabbieranno lo stesso per questa affermazione dal sapore
disfattista.
Il punk però ha permesso ad alcuni di noi di diventare meglio di come
saremmo diversamente diventati, ad altri di provarci; altri sono caduti sotto
il fuoco incrociato e micidiale dei nemici e della propria pretesa
invulnerabilità alla vita.
L’apparizione
del punk nel paese in cui tutti si vogliono bene reputo sia facilmente databile
1976, perché il punk arriva con i “dischi”.
Da
noi a quell’epoca si legge poco, la stampa musicale langue, mentre di concerti
se ne parla sempre meno (ed anzi il punk servirà, anche e forse soprattutto, a
far tornare in Italia gli artisti stranieri dopo la lunga stagione delle
molotov e delle cariche della polizia; per il resto, niente è cambiato).
Il
fatto è che, appunto, i dischi non riusciranno a costituire da noi
l’ispirazione per delle novità che si vadano a consolidare in un fenomeno
compatto e di lunga durata.
Tanto
che, per apparente assurdo, le formazioni nazionali più interessanti sorgono
poi, più spesso che no, nelle zone in cui l’importazione dall’estero del vinile
è più difficile.
Un
altro elemento peculiare è che la disco music ha dato una mano al punk: più di
uno dei negozi che avevano una specializzazione principale nella musica da
ballo proponeva anche dischi di importazione nella nicchia punk.
Fra
l’altro, sebbene nei rispettivi ed antitetici formati par excellance del 7 e del 12
pollici , in entrambi i “generi” trionfa di
regola il singolo: come espressione non solo più immediata ma qualitativamente
di norma superiore rispetto all’album.
La
scena milanese, quella che conosco e ho frequentato, mi pare un buon indicatore
di tutto quanto sopra.
2. I
raffinati e sporadici estimatori locali di Stooges e Velvet Underground ([3]),
infatti, non si scuotono finché non arriva il punk, che all’inizio è fatto di
poco “concreto” e di molto “si dice”.
Sicuramente,
anche nella mia città si può datare l’inizio del punk con l’album di esordio
dei Ramones ([4]), che
ormai è riconosciuto come il sacro testo anche della scuola britannica più
autorevole (valgano The Clash e Sex Pistols), ed è confermato dalle illustri
presenze alla Roundhouse di Londra il 4 luglio 1976 a
vedere ed ascoltare i quattro di Forest Hills.
Nella
voglia di sentire musica di strada si crea da noi – per mancanza obiettiva di
prodotto nuovo, soprattutto europeo – un ripescaggio del passato e ciò forse
spiega anche una consistente fronda americana fra i critici musicali locali:
così si attinge nel doppio album Nuggets
e al suono garage in genere, mentre
magari i diretti interessati guardano ai Monkees oppure ai maledetti francesi ([5])
e i britannici ai padri fondatori del rock n roll.
Dunque
in quei primi mesi il punk italiano è davvero una trincea in cui si consuma
poco di fresco e quel fresco che arriva (per altrettanto chiare ragioni
commerciali: ovvero là avevano capito prima che si poteva vendere anche questa
musica) è nordamericano ([6]).
Diviene
allora cruciale per i pochi davvero attenti, più che l’esordio inciso dei
Damned ([7]),
afferrare una copia delle prime fatiche di studio dei Sex Pistols ([8]);
ma il bel gioco dura poco e così non occorre una mano intera per contare in
Italia i proprietari di una copia su etichetta EMI di “Anarchy In The U.K.”
quando ai primi di gennaio del 1977 salta il primo contratto degli indiscussi
“re” della scena britannica.
Ciononostante,
qui come nel resto del mondo quel fracas
creato da Rotten, Matlock, Jones e Cook farà esplodere tutto, cosicché anche da
noi il 1977 diventa l’anno del punk.
3. Se si è
più di quattro, prima o poi qualcuno pensa di suonare e aggiungendo elementi in
più inevitabilmente cominciano le scissioni.
Ciò
detto, a Milano credo che fra i primi da menzionare siano Maurizio Bianchi
(solitario e sperimentale ([9]))
e i poco ricordati X-Rated.
Comincia
poi la confusione, nel senso che se fra loro c’erano certo dei punk ([10])
i Trancefusion non è che abbiano fatto grandi cose e questo vale per molti
altri, prima di arrivare ai falsi Incesti o ai controversi (fra i kid più che
fra gli adulti) Decibel ([11]).
Intanto
i punk aumentano ([12]),
e i sempre attenti hanno messo le mani su “Spiral Scratch” dei Buzzcocks ([13]).
Per
gli amanti del dettaglio, in quei mesi o si finisce da Carù, a Gallarate,
oppure si cominciano ad imboccare le vie, molto traverse sporadiche e casuali,
dei negozi di importazione di Milano per reperire il vinile inedito.
Nel
mentre, comincia a far capolino una sincera ignoranza politica (per fortuna!
Opinione puramente personale, ma sentita posto che i danni fisici sono stati
limitati e la contrapposizione ha fatto bene). Per cui per rischiare la
sprangata da sinistra è sufficiente invocare la grandezza de The Clash e non
occorre provocare con simboli nazisti, e le cose non cambiano quando il “Suono
della Westaway” batte sul tempo i più blasonati Sex Pistols e pubblica il
proprio splendido album di debutto ([14]).
Problema
enorme, evidentemente, per chi fa politica: c’è il rischio di essere scavalcati;
che fare poi con i palinsesti delle radio libere, ancora fragili e prive di
regole?
Diviene
allora interessante il tentativo della sinistra di “dare la linea” anche ai
kid: incredibilmente gli Stati Uniti sono più apprezzati dei suoni britannici,
e le tastiere ([15])
rassicurano le cellule e le sezioni, parlamentari e non. Curiosità: anche
Springsteen viene arruolato, come un Dylan per i giovani. Piace molto anche
parlare di “new wave”, forse perché Godard (non Vic, leader dei Subway Sect) è
stato digerito; in fondo il gioco è quello di smorzare i toni e convincere che
tutto si risolverà in una bolla e le pecorelle smarrite torneranno a fare i
baciapile all’ombra delle democratiche bandiere rosse.
I
punk se la ridono, se ne fottono e cercano di far passare in radio le loro
cose, ci metteranno del tempo.
4. I giovani
vanno a scuola, le scuole finiscono, si deve imparare l’Inglese e i genitori ([16])
ti mandano in Gran Bretagna per quello: ecco così gettati i semi per la vera
seconda ondata.
Dalle
terre di Albione qualcuno torna con nel bagaglio il singolo dell’estate 1977:
“God Save The Queen” seconda prova dei Sex Pistols ([17]);
intanto i Francesi – in nome della cultura e dell’asilo musicale, ah questi
rivoluzionari! – accorrono in soccorso dei molti (che cercano ma non trovano)
pubblicando “Anarchy In The UK” ed esportandolo in mezza Europa.
Alla
faccia delle mamme e delle zie che pensavano solo al Wedgwood, dei papà con il
Dunhill e dei compagni di classe con le incrostazioni della Carnaby Street di
plastica nelle menti.
Ormai
ci siamo: nell’autunno del 1977 è esploso il punk e bisogna cavalcarlo. Così
compaiono sulla stampa nazionale le prime fotografie a colori, gli articoli si
spostano dalle testate quotidiane del pomeriggio ai rotocalchi da parrucchiere
e si va in televisione ([18]).
Arriva
a questo punto la necessità di parlare, più che di parlarsi: ecco le fanzine,
tutte figlie di Sniffin’ Glue (finché
qualcuno non scopre che Ripped & Torn
è meglio), e primogenita nata dai miasmi dei navigli è Dudu H.y.n.d.r.o. Punk News: Dudu per “dada + punk”, Hyndro per
Montanelli. Meglio delle avanguardie storiche ispiratrici (care ai mastermind della ‘zine medesima), la
scissione si consuma fin dal primo numero ([19]):
sorgeranno l’anno dopo Pogo e Il sigaro d’Italia.
L’abbigliamento
è un discreto dilemma: stracciare e tagliare non basta, spille da balia ([20])
e ganci di lattine, catene certo, però sarebbe bello avere un paio di bondage
trousers, e magari girare per strada “con la Destroy ” senza finire in galera con due reati sul
petto.
Zucchero
e burro per chi vuole farsi i capelli in piedi.
Gli
anfibi dell’esercito, anche tinti di nero, sopperiscono ai Doc Marten’s;
popolari inoltre le tute da lancio e le giacche mimetiche, il giubbotto di
pelle caro (caro!) soprattutto ai seguaci dei Ramones.
Fanzine,
abbigliamento e dischi: veri ritrovi non ne esistono, perché già si fa la
differenza fra puristi e non, però (anche per i motivi di estetica paramilitare
di cui sopra) la Fiera
di Sinigallia del sabato nella vecchia collocazione di Via Calatafimi è un
punto di incontro e scambio.
5. Le radio
appaiono ultime.
Per
quanto mi è dato di ricordare, l’etere milanese può dividersi in due: “Sine Ulla Intermissione” a Radio Milano
Libera/Radio Milano Quattro e il programma di Radio Popolare gestito da
Francesco D’Abramo.
Il
secondo: serio, più autorevole e duraturo nel lungo periodo ([21]);
affascinato dall’imprevisto il primo forse anche perché presentato da due dei
tre fondatori di Dudu.
Entrambi
fanno affidamento sul prezioso vinile dei giovani punk, cui magari viene anche
ceduto il microfono dai conduttori ufficiali.
Quale
e quanta sia l’audience non si sa,
certo che un po’ di informazioni passano nell’etere e contribuiscono a definire
i gusti e arricchire le discoteche dei kid.
6. Finisce il
1977 e bene o male tutto quello che c’era da dire è stato detto.
Non si sposteranno più decine
di giovani menti ([22]),
bensì ci sarà: da un lato un proselitismo effimero, di chi si esibisce in
capannelli in centro ma semplicemente segue la moda, dall’altro singoli che
cominciano a sentire anche “il punk e la new wave” senza impegnarsi in alcun
modo oltre l’ascolto.
Il
che non significa che muoia il punk in Italia, anzi. Ciò che si esaurisce è
l’aura di mistero e segretezza: quelli che diventano visibili possono aspirare
al mito, ma non alla leggenda.
Si
comincia ormai a sgomitare per accaparrarsi le copie del vinile, che arriva
dall’estero in quantità maggiori ma insufficienti per una clique già nutrita … ([23]).
Da qui in avanti però se non
è storia è cronaca, abbondantemente disponibile tramite altre fonti ([24]),
mentre in questo scritto si è cercato di raccontare qualche dato che, alla
fine, è quasi un b-side del punk.
Steg
AVVERTENZA
Alcune
parti dei seguenti tre post sono
state pubblicate successivamente (anni dopo) - con la mia espressa
autorizzazione scritta - nel libro di Claudio PESCETELLI, Lo stivale è marcio, Roma, Rave Up Books, 2013 (per i riferimenti
si vedano ivi le pagine 188 e 189): “Note sul punk in Italia e a Milano”,
“Tonito Memorial”, “A proposito di Jumpers e 198X”.
Ove
possibile segnalo il volume e/o il suo autore nelle “etichette” del blog riferite ai singoli post, ma dato lo spazio limitato per le etichette, ciò non
è accaduto per tutti e tre.
D’altro
canto, tutti e tre i post in questione
hanno avuto rielaborazioni anche successivamente alla versione impiegata da
Pescetelli.
Steg
Tutti i diritti riservati/All rights
reserved. Nessuna parte – compreso il suo titolo – di questa opera e/o la
medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su
sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il
pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore.
[1]
Questo scritto è la revisione di un articolo redatto per un volume ma poi mai
utilizzato se non in forma di frasi estratte a mo’ di intervista.
Si tratta del libro di
Mauro MAZZOCUT, The Great Complotto
Pordenone, Pordenone, Biblioteca Civica Pordenone, 2005.
L’edizione in Inglese del post (sei mesi dopo la sua pubblicazione
nel blog) mi ha indotto a qualche sua
piccola correzione.
[2]
Solitamente si parla dei cantautori come fenomeno italiano, ma il mondo
francofono ha espresso stelle di respiro transnazionale: Brel e Gainsbourg, per
esempio.
[3] In
minor misura delle New York Dolls, spesso tacciate di essere dei Rolling Stones
di seconda scelta.
[4] Uscito
il 23 aprile 1976.
Non dubito che ci sarà chi
vanterà la proprietà di singoli come quelli di Terry Ork oppure di oscure bande
magnetiche. Senza scomodare troppo la leggenda, però, occorre considerare che
l’individuo da solo non fa testo e che notoriamente opacissimi figuri “siedono”
ancora, letteralmente, su registrazioni del CBGB’s del 1975.
[5] Rispettivamente:
ancora Ramones e, per converso, Television, Patti Smith.
[6] Oltre
ai noti e accettati, si ricordino anche Runaways, Modern Lovers e, buoni anche
per sputare sui fuoriusciti Dead Boys, i Pere Ubu.
[7] Del
22 ottobre 1976. Si rammenti l’omaggio alle Shan-Gri-Las che apre “New Rose” a
dimostrazione della varietà di ispirazioni dei primi artisti punk.
[8] 26
novembre 1976.
[9]
Inizialmente solo un agent provocateur,
già per questo meritevole di menzione (fu uno dei pochissimi se non il solo che
esibì simboli nazisti al solo scopo di istigare violente reazioni da parte dei
passanti; musicista soltanto a partire dal 1979.
[10]
D’ora in poi “punk” copre tutti.
[11] Qui
mi fermo, per evitare di sbrodolare.
[12]
Siamo comunque nell’ordine della dozzina abbondante, forse.
[13]
Uscito il 29 gennaio 1977.
[14] L’8
aprile 1977, preceduto il 18 marzo dal politicamente scorretto nel titolo
singolo “White Riot”.
[15] Cioè
gli artisti che fanno uso di questo strumento. Chiaramente non di ogni erba si
può fare un fascio e i Suicide non saranno accettati finché non saranno
dimenticati: leggi il secondo album, del 1980.
[16] Per
i distratti: anche la spallata punk come tutte le rivoluzioni ha matrici
prevalentemente borghesi, seppur di piccola borghesia .
[17]
Finalmente con un discografico che pubblica ciò che registrano.
[18] A
settembre un servizio nella trasmissione del secondo canale 2 “Odeon”. “Il 2”
sarà l’osservatorio catodico del fenomeno anche nei mesi a venire.
[19]
Presentato in un party di Ivan Cattaneo.
[20]
Ricercatissime quelle inglesi.
[21]
Ospitò una intervista quando gli Ants suonarono a Milano, nell’ottobre 1978.
[22]
Assumendomene la responsabilità, peraltro garantisco che più di uno è stato
salvato – grazie al punk – dal rischio di finire fra le fila degli autonomi e
di trovarsi con una accusa di banda armata sulle spalle: infatti se si era
emarginati dalla politica, ciò garantiva anche di non rischiare di fare
sciocchezze enormi.
[23] Con
le dovute differenze, se raffrontato con la scena mod britannica della prima
metà degli anni sessanta il 1978 è un po’ “il 1964 del punk”: si creano
archetipi, uniformi, cliché.
[24]
Altro “punk a Milano” si trova in questo blog
nel profilo (è ben più di un post) dedicato a Tonito, ove si
rinvengono altresì riferimenti bibliografici, tutti tranne uno da me sottoscritti
per affidabilità oltre la citazione da me fatta, e musicali: https://steg-speakerscorner.blogspot.com/2012/08/tonito-memorial-to-live-and-die-in.html.
Nessun commento:
Posta un commento