VORREI SCRIVERE DI KIRK BRANDON
Mi piacerebbe
molto scrivere – rivolgendomi a dei lettori e non solo a me stesso (già lo ho
fatto) – di Kirk Brandon, leader dei Theatre Of Hate dopo quella prova generale
che furono The Pack e poi degli Spear Of Destiny, e delle sue (senza eufemismi)
band (ricordo anche di aver vista una
sua formazione “intermedia” denominata Elephant Daze esibirsi al Limelight di
Manhattan negli scorsi anni ottanta).
Ma come potrei?
Finché si chiosa
sul non controverso è facile, ma avete presente cosa si trova sul retro di
copertina del “meglio” dei SOD?
Del resto
Longino, appunto, non rientra fra l’iconografia destinata alla provocazione della
dopolavoristica musicale italiana (quel gusto “finto The Clash” che piace tanto
da queste parti, dove i rischi veri non si assumono quasi mai).
Ci provo ([1]).
Esistono plurime
ristampe del primo album dei TOH: la sua copertina iniziale è molto bella però
risente del periodo (e forse del suo pluridecorato produttore artistico: Mick
Jones) nei suoi echi sovietici.
Meglio quella di
Westworld (senza The) quale ristampa con numero di catalogo BRR 010CD (esiste anche l’edizione
in vinile con 7”
allegato, volendo) dove si (intra)vede l’insegna “airborne” sul trenchcoat di Brandon ([2]).
C’è questo
continuo corteggiamento, fine a se stesso oppure no?, fra Brandon e una certa
mistica militare (vedi “Legion”) anche cavalleresca (cfr. “King of Kings”).
Mistica
schierata solo con il guerriero e non con la idea, se prima della Scheggia si
rinviene l’album dal vivo He Who Dares
Wins.
Kirk Brandon è
un curioso personaggio, con un sito internet che vende soprattutto CDR
prevalentemente contenenti versioni acustiche di suoi successi incise nei Paesi
Bassi, successi che ormai datano di qualche lustro or sono; DVD e album dal vivo
ancora costruiti su quelle stesse canzoni (inni?); biglietti per i suoi annuali
concerti-raduni dove ci si aspetta e si ottiene quello stesso repertorio.
Eppure, Brandon
con gli anni è un personaggio di cui si deve apprezzare l’integrità artistica e
umana, ad ogni costo ([3]).
Qualche problema
di salute tutt’altro che leggero lo ha afflitto anche recentemente, nel 2011, ma
una grande voglia, sempre, di andare avanti: veterano e non reduce ([4]).
Nella grande
tavola sinottica della musica che nessuno vuole redigere – per pietà nei
confronti di certi artisti oppure per vergogna dei propri gusti musicali? – si
troverà sempre almeno l’album di esordio del Teatro Dell’Odio, registrato nel
1981 sebbene pubblicato l’anno successivo.
Ma mi renderei
impersonale se non ricordassi almeno altre due canzoni che sono ben più di meri
extra: “Rebel Without A Brain” summa
giovanile totale.
Dal repertorio
di The Pack, poi, ecco “Thalidomide”. Ben prima di quel fumetto con il giovane
skinhead storpiato negli arti, appunto, dal talidomide (altro che “mother’s little helper”!).
Adesso alla
domanda, usuale e inutile, potete avere risposta: sì, anche i Theatre Of Hate sono
(veri) punk.
Steg
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1]
Questo post ha alcuni mesi, rifinendo
quello intitolato “Out in clubland having
fun” mi è tornato in mente: https://steg-speakerscorner.blogspot.com/2012/04/out-in-clubland-having-fun-proposito-di.html
[2]
Cinque canzoni bonus, pagato 26.000
lire.
[3] Mi riferisco ad alcune sue
battaglie legali.
[4] Questo è un altro post, forse.
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