"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



domenica 8 luglio 2012

EMILIO SALGARI: alcuni pensieri


EMILIO SALGARI: alcuni pensieri


Ho avuto bisogno di anni per spostare l’accento dalla prima alla seconda “a”.
Continuo a pensare Emilio Sàlgari, ma ormai sempre dico e scrivo Emilio Salgàri, ritenuta pronuncia corretta poiché il cognome deriverebbe da “salgàr”, un salice in dialetto veneto (veronese?).

Un uno-due crudele fa sì che il centenario della morte nel 2011 (con un francobollo di cui nessun estraneo si è accorto) pare abbia assorbito i 150 della sua nascita nel 2012.


Il culto salgariano è l’opposto di ogni altro ([1]): ci si ritrova dentro per caso, nessuno fa resistenza al tuo ingresso.


I salgariani sono sempre visti come uno sparuto gruppo di vecchi rimbecilliti, afflitti da patologie cattive come il Parkinson o lo Alzheimer.
Non è proprio così.


Probabilmente non c’è scelta.


Salgari è una cosa di famiglia: se Stefano “Stephen Gunn” Di Marino rammenta le protettive prassi censoree materne rispetto a Jolanda La figlia del Corsaro Nero ([2]), anche io ho ricordi familiari.


Copie de Le tigri di Mompracem e de Il Corsaro Nero in una edizione con copertine sgargiantissime ma senza illustrazioni interne dell’editore Lucchi mi furono regalate da mio padre in una bella serata estiva milanese: era già buio, eravamo al ristorante Al Ceppo dal Signor Attilio ([3]), ma la bancarella era ancora aperta in quello slargo all’inizio di Via Soresina, traversa di Corso Vercelli a Milano, e probabilmente tardava ad arrivare il secondo piatto.
Finivano gli anni sessanta e io neanche decenne già respiravo la nostalgia per la Milano di Giorgio Scerbanenco d’estate, calda e quasi metafisica in certi angoli (non solo umidamente fredda e nebbiosa d’inverno).


Più di un quarto di secolo dopo il testimone passava, e io portavo in clinica a mio padre delle copie de Il Re del mare ([4]) e di qualche altro romanzo del Maestro veronese vecchie di decenni e comprate dal libraio antiquario Malavasi.


Ho sempre preferito Yanez a Sandokan.
Mi ha educato più l’ultima pagina de Il Corsaro Nero che il politicamente corretto femminista e di sinistra che non va da nessuna parte.


Gli eroi salgariani hanno un coefficiente di imperfezione che li rende precursori dei super eroi della Marvel targata Stan Lee.
In questo sono molto moderni.


Salgari, come tutti i grandissimi, viene “tirato per la giacchetta” da ogni lato.
Fatico a vedere il lato rivoluzionario di un devoto suddito di Casa Savoia come lui era.
Certi studi recenti hanno dimostrato che – oggettivamente – gli editori non lo affamavano.


Salgari è semplicemente solo, come Friedrich Nietzsche che a Torino parla con un cavallo.
Fuori dal coro si vive male e lui visse male.


Non ha neanche senso inserirlo fra gli Artisti suicidi poiché non si possono classificare i suicidi: si possono solo, spesso, trovare non banali i suicidi, ma cosa potrebbe legare Robert Malaval ([5]) e Hunter S. Thompson?



Un discorso lineare su Salgari non lo credo possibile al di fuori delle sue opere.
Però dei “pensieri da Salgari” possono essere la fonte di riflessioni o di una memoria altrimenti orfane di spunti o peggio mai nate.





                                                                                                          Steg







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[1] Pensate al Fight Club (non il libro, ma il club, appunto) di Chuck Palahniuk.
[2] Solo chi non ha memoria - faticosa e in bianco e nero, non sostenuta dagli archivi RAI: meno compensi a certi ospiti e più fondi per la preservazione del patrimonio programmi scrivo - può considerare stupido il programma della TV dei ragazzi Giovanna la nonna del Corsaro Nero.
[3] Che, burbero, per me era ancora un po’ “il Signor Artiglio”... come lo storpiavo qualche anno prima.
[4] È il solo titolo che ricordo a memoria.
[5] Un pittore di cui prima o poi scriverò un post: data di morte 8 oppure 9 agosto 1980. Dunque egli è, anche, nel “club dei morti con data incerta” (non necessariamente suicidi), come Stefano Tamburini o Jean Seberg.

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