UMBERTO ECO
(fumetti e il Martini)
(fumetti e il Martini)
Credo di “convivere” intellettualmente con Umberto Eco da quando avevo circa sette anni di età.
Non perché io fossi un prodigio, ma perché avevo cominciato allora (con immane fatica data dai nomi che non sapevo pronunciare) a leggere le strisce e le tavole dei Peanuts sul mensile Linus.
Nel 1967 non c’erano molti intellettuali, anche giovani, disposti a seguire (vado molto per approssimazioni) la linea di un Roland Barthes che in Francia studiava appunto fenomeni e prodotti della cultura di massa, ma su Linus si trovano “cose” che altrove erano inimmaginabili ([1]) .
Cosi fra Batman e Mike Bongiorno, questo signore, pressoché immutabile nei decenni (quante giacche blazer di colore blu ha nell’armadio? Più delle giacchette da marinaretto di Paperino?) cominciò a farmi capire che non ero poi così solo a leggere i fumetti (pur essendo io stato criticato per tutti gli ultimi tre anni delle elementari dal mio maestro per questo).
Naturalmente, quando circa un decennio dopo tutti correvano al carro dei nuovi vincitori e i fumetti andavano bene (dov’erano quando Hugo Pratt dovette, quasi, “riparare in Francia”?), Umberto Eco non era più una voce isolata.
Non ho letto Il nome della Rosa (e nemmeno ho visto il film).
Qualche anno dopo comprai però, e mi servì molto, Come fare una tesi di laurea.
Il pendolo di Foucault lo acquistai molti anni dopo su suggerimento di una persona di cui mi fidavo; del resto, cominciava il mio furore di avere libri e Eco giustamente professa il principio per cui si comprano libri per poterne disporre quando si vogliono leggere o anche solo consultare.
Questa la ragione per cui oggi ho potuto aprire la mia copia, una prima edizione del 1988 ancora quasi “da scaffale”, dopo 14 anni dalla sua pubblicazione: semplicemente per verificare la pagina in cui si trova il passo citato da Eco ([2]) nella sua introduzione a Ed è subito Martini di Lowell Edmunds ([3]).
Io e il semiologo più famoso d’Italia dissentiamo quasi su tutto rispetto al Martini, tranne per due cose, fondamentali: anch’io sogno di poter entrare in un bar, in qualsiasi città del mondo ed ordinare un solito o, addirittura, aspettare che mi venga servito automaticamente; e, più importante, il fatto che “è ovvio che il Martini migliore è quello che ti fai da te, a casa” ([4]).
Steg
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[1] Notevole fu anche che Dino Buzzati scrivesse una prefazione a Vita e dollari di Paperon de Paperoni. Era il 1968.
[2] Pagina 136 per l’edizione rilegata; oppure cercate il capitolo 36.
[3] In originale, questa nuova edizione del 1998 – tradotta nel 2000 e pubblicata per i tipi di Archinto – si intitola Martini Straight Up.
[4] Dove i bicchieri possono stare in freezer, cosicché anche Umberto Eco non avrebbe bisogno del ghiaccio che annacqua tragicamente il Martini.
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