"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



martedì 24 gennaio 2012

LA CRISI ECONOMICA È COMINCIATA QUANDO HANNO INIZIATO A CHIUDERE I NEGOZI DI GIOCATTOLI?

LA CRISI ECONOMICA È COMINCIATA QUANDO HANNO INIZIATO A CHIUDERE I NEGOZI DI GIOCATTOLI?

Una banale indagine sui marchi riferibili ai giocattoli oggi in circolazione evidenzierebbe una situazione di oligopolio che rincretinisce i minori di dodici anni.

Bambino e ragazzino io, a parte il delizioso dualismo Corgi Toys-Dinky Toys – in cui si inseriva la Politoys – per le automobiline, si impazziva per il G.I. Joe della Hasbro, poi c’erano le armi giocattolo (so-called …) dell’Edison: sulla serie “matic” ci siamo fatti le ossa ma probabilmente il fucile Bengala (pesantissimo) avrebbe potuto sparare davvero, i soldatini della Britains Ltd. bellissimi!

Per dirvi che ci hanno ucciso i sogni, occorreva spiegare i nostri sogni (molto parzialmente ([1])).

Circa una quindicina di anni fa chiusero a Milano il negozio “Noè” (proprio come l’arca ma era il cognome dei proprietari): lutto più cupo dell’ala di un corvo reale in una notte senza luna alla Tower Of London: basta giocattoli, al loro posto vetri di Murano in galleria di Via Manzoni.
Oggi leggo che Murano è in crisi: posso essere solidale con i soffiatori, meno con i loro datori di lavoro che hanno distrutto i sogni dei bambini e dei ragazzi perduti.

Su toni meno poetici è Arturo Pèrez-Reverte (scrittore spagnolo di successo) dalle colonne de La Lettura dell’8 gennaio 2012 a supplemento del Corriere della Sera. Dovete leggerlo e condividerlo.
Infatti, la sostanza del suo articolo non credo sia dissimile da quella da me appena esposta: quella dei giocattoli è un’economia più reale di quella dei soprammobili di vetro soffiato.

Oggi i negozi non cambiano più classe merceologica: chiudono.
I ristoranti chiudono perché si chiamano osterie, ma il menù dichiara 14 Euro per una zuppa di cipolle: una volta in trattoria ci trovavi il professore scapolo e l’artista o il giornalista spiantato (come da La vita agra di Luciano Bianciardi; era semplicemente il quartiere di Brera a Milano).
E a Ibiza ci vanno quasi tutti, a vomitare e a far finta di ... (si veda ancora Pèrez-Reverte).

Non ci sono colpe specifiche, solamente un’incapacità di credere che la produzione di ricchezza e di richiesta di superfluo potesse prima rallentare, poi fermarsi, poi addirittura diminuire. Le vacche magre sembravano abolite.

Eppure, eppure moltissimi – come gli stolti uccelli dodo del primo film della saga de L’era glaciale – corrono ancora ignari verso l’abisso pensando che la crisi non li tangerà nemmeno.
Stolti, ripeto.
Ma chissà con cosa giocavano loro ([2]), o meglio chissà se gli è chiaro quale fosse il significato esistenziale di quei giochi.


                                                                                                                      Steg



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[1] Non ho citato né il trenino elettrico, né l’autopista, né il Meccano.
[2] Lascio alle bambine di ieri disquisire sui loro giocattoli, seri almeno come i nostri evidentemente.
È compito dei pazienti lettori di questo blog disquisire e lamentarsi rispetto alla mia cattiva abitudine di uccidere certi finali con una footnote che non permette di presagire nulla di definitivo.

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