"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



venerdì 24 gennaio 2014

WE (STILL) WANT PRINCE (anche per una cena)


WE (STILL) WANT PRINCE
(anche per una cena)

 

Una ventina di anni fa mi inventai, per addormentarmi, un gioco: “con chi vorresti uscire a cena per fargli un po’ di domande?”.
Erano poche le persone degne di un tavolo di ristorante ([1]), qualcuno nel frattempo è morto, più di qualcuno non è più interessante (infatti non me ne ricordo), insomma ne rimangono un numero molto esiguo.

 

Fra gli ancora restanti c’è Prince, uscire a cena per parlare con lui di lui, di Miles Davis, di Jimi Hendrix e del rock ‘n’ roll in generale ([2]), della new wave Stateside ([3]), del cinema, ...

 

Tre ricordi di Prince dal vivo: a Milano in color pesca lui e la band; il concerto cancellato a Torino ([4]) (magari trovo il biglietto di quel concerto); a Madrid nella Plaza de Toros negli scorsi novanta ci regalò anche un a solo di batteria.
Per il resto misuro a campate di CD, a spanne di vinile ([5]) (e VHS e DVD) e a decimetri di scaffali occupati da libri e a cartelle di ritagli il mio interesse per quest’artista. Non mi reputo un esperto su di lui, ma diciamo che so più o meno dove guardare in caso di bisogno.

 

C’è un album intitolato We Want Miles ([6]).
Posto che, purtroppo, Miles Davis (il disco è suo) non è più fra noi, non possiamo chiedere Miles e Prince insieme ([7]), ma solo Prince.

 

Perché lo vogliamo? Per le ragioni che lo resero un gigante.
Egli distrusse i calendari delle case discografiche ([8]), con ritmi che ricordano quelli usuali degli ultimi anni settanta (prendete la discografia di David Bowie a titolo di esempio).
Egli fuse stili musicali (ancora oggi, l’ascoltatore medio e distratto non sa che Sly Stone è stato una sua matrice più di quanto lo siano stati Rick James o James Brown, della sua ammirazione per il mancino di Seattle si sa).
Egli infranse cliché sessuali: ascoltate “Controversy” ed anche “If I Was Your Girlfriend”.

 

Da anni il Signor Nelson sabota ([9]) la sua base di fan, rendendo pressoché impossibile trovare su di lui notizie che non siano state filtrate o censurate ([10]).
E questo non è certo un merito.

 

Talvolta mi chiedo se in certi momenti Prince non si comporti lungo una progressione autodistruttiva.
Perché essere un genio non fa rima con essere masochista.

 

Negli ultimi anni della sua vita Miles Davis “mungeva la mucca” con la pubblicazione di album non di grande livello qualitativo e sicuramente centellinandosi.
Prince per anni ha fatto il contrario, “uccidendo la mucca” con una produzione sterminata; ed ancora oggi egli disorienta con le sue virate che, sfortunatamente, non sono più positivamente radicali come un tempo e sono anche oscillanti: l’ultima svolta (2013) è di nuovo elettrica e muscolare con tre ragazze ad accompagnarlo ([11]).

 

Eppure per lui una sera libera per una cena la trovo sempre e ancora ([12]).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] E certo non a Milano.
[2] Fra l’altro Prince mi pare essere immune da influenze stilistiche britanniche marcate, pur vedendo io in lui dei tratti rundgrendiani che quindi hanno almeno dei riverberi d’Albione.
Ho scritto marcate, per il fatto di aver suonato “Whole Lotta Love”, egli non diventa un emulo ledzeppeliniano.
[3] Bastarda ab origine mentre originale era la no wave, per saltum dopo il punk.
[4] Dopo un’andata in treno in prima classe portando con me Il doppio sogno di Schnitzler e avendo la Signora Chiara Boni di fronte.
[5] Uno di quei casi in cui il fan benedisse l’avvento del CD, perché gli album non ufficiali erano ormai sempre più spesso multipli e il vinile non reggeva quindi la mole di materiale che usciva (non si è mai capito, soprattutto dopo la fine del rapporto contrattuale con Warner Bros., se con una sorta di bonario spirito del laissez-faire da parte dell’artista).
[6] We Want Miles is a double album recorded by jazz trumpeter Miles Davis in 1981, produced by Teo Macero and released by Columbia Records in 1982. The album features one of the first live appearances by Davis in more than five years, at Boston's Kix Club, on June 27, 1981. Other tracks are recorded at Avery Fisher Hall, New York, on July 5, and in Tokyo, October 4 of that year. First released on CD in Japan as a two-disc set (CBS/Sony CSCS 5131/5132), subsequent CD releases fit the music onto one disc. Columbia Records have never released it on CD in North America”: da Wikipedia.
[7] È davvero frustrante quel pochissimo che circola fra gli appassionati.
[8] Uso questo termine anche se non è corretto, per essere leggibile.
[9] Nessun gioco di parole con la Sabotage: uno dei più rinomati produttori di suoi bootleg negli anni che furono.
[10] Una volta esistevano siti internet dedicati solamente alla sua discografia “parallela”.
[11] A noi appassionati di antica data mancano sempre le ragazze “rivoluzionarie” Wendy Melvoin e Lisa Coleman.
[12] Del resto questo post è rimasto in bozza per una ventina di mesi.

1 commento:

  1. Steg, bello il gioco del "con chi andrei a cena?". La lista dei morti nel mio caso non la si potrebbe contenere lungo tutta la Route 66, come ovvio.
    'We Want Miles': titolo utile anche per i blog, disco orripilante. Che Miles Davis sia morto probabilmente con 'E.S.P.' (1965, credo, vado a memoria...) o meno probabilmente con il successivo 'Miles Smiles' non è questionabile -a meno che qualcuno dimostri il contrario con argomentazioni necessariamente tecniche. A proposito di Davis e Prince, illuminante in questo senso l'aneddoto raccontato dal trombettista nella sua autobiografia, quando chiese a Prince: "Non riesco a capire la logica della tua linea dei bassi, quando componi". E Prince: "Miles, non la scrivo!". Contenders welcome.

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