"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



giovedì 7 febbraio 2013

BOB DYLAN E DAVID BOWIE: DI ARTE PITTORICA, DI ARTE E DI ARTISTI (e di docenti universitari)


BOB DYLAN E DAVID BOWIE:
DI ARTE PITTORICA, DI ARTE E DI ARTISTI
(e di docenti universitari)
 
Non siamo di fronte a una vera e propria perla mediatica, ma a una forzatura mediatica, o almeno io la vedo così.
 
Il Professor Vincenzo Trione scrive nel suo articolo pubblicato a pagina 25 de La lettura di 3 febbraio 2013 che Bob Dylan e David Bowie siano trattati “da veri pittori” solo perché celebrità. Tralasciando titolo, occhiello e sommario dell’articolo (che si sa possono non essere creati dall’autore dell’articolo): cito, a titolo indicativo: “il drammatico passaggio dall’autorità alla celebrità”, “musei […] condannati a profanazioni sistematiche”, “Dylan è un pittore quasi del tutto privo di talento”, David Bowie sarebbe “[p]ur privo di abilità pittorica” ([1]).
 
Io faccio sempre le mie ricerche, perché diversamente accade che un giorno arriva uno che si firma Steg e fa le sue osservazioni. Appunto.
 
Il Victoria and Albert Museum di Londra è suddiviso “into four Collections departments, Asia; Furniture, Textiles and Fashion; Sculpture, Metalwork, Ceramics & Glass and Word & Image” ([2]). Perché esso è essenzialmente un museo di arte decorative e design (e “costume” in senso ampio).
Il Palazzo Reale di Milano è la sede di mostre prevalentemente a matrice artistica “alta”, pur se ricordo che esso ospitò in tempi recenti una mostra dedicata a Vivienne Westwood, stilista di moda (o rivoluzionaria della moda?).
 
Il V&A Museum ospiterà a breve una mostra “su” David Bowie, non solo “di” David Bowie, per la precisione (l’articolista si sofferma poco su questa circostanza, anche se curiosamente non è riprodotta con l’articolo alcuna opera pittorica bowiana, mentre per Dylan sì).
 
Dunque le mie obiezioni al Professor Trione ([3]) sono di due tipi: oggettive e soggettive.
 
Da un lato almeno (almeno) quanto a David Bowie il suo dolersi (scandalizzato, stizzito?) perché vengano offerti spazi museali ad opere di questi due “artisti interpreti esecutori” (ma pur sempre artisti: come sancisce l’articolo 80 della legge n. 633 del 22 aprile 1941 ([4])) non colpisce nel segno in quanto il museo intitolato alla più longeva regina (o dovrei scrivere imperatrice?) britannica è appunto rivolto anche a questo tipo di mostre.
 
Dall’altro, non si vede per quale motivo un artista nell’ambito musicale non possa esprimersi anche in un’altra arte, e qui ricordo che sia Dylan sia Bowie sono anche autori e/o compositori di molte delle opere musicali che interpretano, quindi in fondo già due volte artisti ([5]).
 
Natürlicher dell’interesse di David Bowie per die Brücke (movimento pittorico tedesco nato a Dresda nel 1905 ([6])) il Professor Trione nulla dice.
E quanto a Bob Dylan pittore, francamente non ho proprio capito perché non possano interessare al pubblico i suoi quadri.
 
Mi piacerebbe, anche, sapere cosa ne pensa il cattedratico dello IULM delle performance musicali di cui all’album fonografico Le stelle di Mario Schifano.
 
In conclusione, ritengo che l’articolo si risolva semplicemente in un forzoso tentativo di sostenere, senza argomenti convincenti, una tesi critica negativa nei confronti di due artisti che hanno una statura tale in ambito musicale per cui chiamarli celebrità è quasi un insulto.
Che poi Damien Hirst sia gradito all’autore dell’articolo, non mi sembra sufficiente per sostenere validamente le opinioni dell’accademico italiano.
 
Evidentemente, sarò lieto se il Professor Trione vorrà commentare in questo blog la mia opinione.
 
 
 
LUNGO POST SCRIPTUM: ARTISTI E CRITICI
 
Ho cercato, vanamente, su internet, “la” (o una) dichiarazione di Damien Hirst secondo la quale David Bowie non sarebbe un artista. Non la ho trovata.
In compenso, mi risulta che David Bowie, come facente parte del “board” di Modern Painters , abbia intervistato nel 1996 Damien Hirst. Fra i suoi intervistati di quella decade ci sono anche Balthus, Jeff Koons e Julian Schnabel.
 
Da un articolo del New York Times ([7]) comprendo il probabile equivoco: in lingua inglese si preferisce riservare la parola “artist” per le muse visive tradizionali (pittura e scultura, cioè): ecco infatti l’incipit: “This is the first in an occasional series of talks with people who, in one way or another, have a special connection to art but aren’t (primarily) artists themselves: writers, musicians, scientists, politicians, collectors”.
 
D’altronde, nel 2012: “When Damien Hirst was looking though his archive recently, in preparation for his forthcoming retrospective at Tate Modern, he came across some film footage of an interview he did with David Bowie in the Gagosian Gallery in New York in 1996. ‘I’m sitting on a big ashtray talking bollocks,’ says Hirst, laughing. ‘At one point, Bowie says, “So what about a big Tate gallery show, then?” And I say, “No way. Museums are for dead artists. I’d never show my work in the Tate. You’d never get me in that place.”‘. L’articolo prosegue: “He grins ruefully and shakes his head. ‘I was watching it and thinking, “Jesus Christ, how things change.” Suddenly, I’m 46 and I’m having what they call a mid-career retrospective. It doesn’t seem right somehow.”‘” ([8]).
 
Se cercate notizie in Internet, scoprirete che Hirst e Bowie hanno collaborato alla creazione di alcuni dipinti.
 
Sul concetto di “artista” può incidere il fatto che Hirst abbia collaborato alla fine del 2012 con le gemelle Mary-Kate e Ashley Olsen (due “fashionista”) per creare una borsa (in 12 esemplari) dal prezzo al pubblico di 55.000 dollari ?
 
Nel frattempo la mostra “David Bowie is” ha collezionato a Londra 312.000 visitatori, oltre 47.000 sono le copie vendute del catalogo. La mostra sarà quindi allestita a Toronto, poi nel 2014 (etc.) San Paolo del Brasile, Chicago, Parigi e Groningen.
Un album di successi di Elvis Presley si intitola: 50,000,000 Millions Elvis Fans Can’t Be Wrong
 
Per ora, invece, nessuna nuova dal Professor Trione.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
© 2013 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.
 





[1] In parentesi quadre rispettivamente puntini di sospensione per mantenere vicini soggetto e verbo, la lettera “p” da maiuscola.


[2] Lo dichiara Wikipedia in una voce talmente articolata che per me va bene, anche a motivo del fatto che questo museo lo ho visitato sempre in occasione di mostre appunto riferite a moda, parola ed immagine.


[3] Nato proprio nell’anno in cui fu pubblicato quello che, comunque, è ritenuto l’album più importante nella carriera di David Bowie: 1972, The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars.


[4] Per quel che concerne l’Italia, lo stesso è anche per le altre legislazioni in tema di diritto d’autore così come per quelle che si occupano di copyright.

Con buona pace di Damien Hirst che forse non è un giurista e quindi taccia David Bowie di essere solo un musicista (ma chissà la citazione esatta, in Inglese, come suona).


[5] Ancora la legge n. 633 del 1941 al proprio articolo 1 riunisce sotto l’espressione “opere dell’ingegno” sia quelle in ambito musicale, sia quelle dell’arte figurativa, eccetera.


[6] Rinvio al catalogo collettaneo Brücke La nascita dell’espressionismo, Milano, Mazzotta, 1999.

Il riferimento è importante rispetto agli anni berlinesi di Bowie e Iggy Pop.


[7] Del 14 giugno 1998 a firma Michael Kimmelman. La serie si intitola: “Talking Art With”, il primo intervistato è, appunto, David Bowie: “David Bowie; A Musician's Parallel Passion”.


[8] Sean O’Hagan, The Observer, 11 marzo 2012.

1 commento:

  1. Ahi ahi ahi, il Professor può scandalizzarsi. Che il V&A abbia occhi e orecchie a 360° non fa fatto, per lui. Ma è anche vero che l'arte "alta" ospitata di solito a Palazzo Reale in Milano si incrocia spesso con altre strade, dai fatturati importanti per alcune strutture cittadine. La mostra dedicata alla Westwood che citi fu dedicata non a caso a una stilista con lunghissimo back catalogue formato da collezioni diversissime tra di loro (fattore raro anche nel fashion), in un contesto intrecciato con la Camera Della Moda milanese e alla cui inaugurazione ci fu cotanto intervento di Mario Boselli (Presidente Camera Della Moda) e dell'incredibile Vittorio Sgarbi, oltre che di Dame Vivienne (ero presente). Questi casi sono visti di buon occhio, soprattutto in periodi di settimane della moda e di crossover presso tematiche che giustamente vedono gli stilisti come cartina tornasole -e spesso istigatori, almeno tempo fa- di molti trend trasversali. Pensa al mega evento di Valentino all'Ara Pacis a Roma prima del suo ritiro. Hai mai sentito di mostre di dipinti di Gainsbourg a Parigi, lui che voleva essere innanzitutto pittore e che si vide "costretto a deviare sulla musica"? A meno che non si voglia elevare l'arte di due cantautori -arguti finchè si vuole- a libro paga di qualcun altro che non sia il loro press agent. Semplicemente, i quadri di Bowie, Dylan o chi per loro non sono cosa rilevante se non per i loro fans, sempre che un Leee Black Childers dei nostri giorni non faccia scivolare un bell'assegno nella tasca di un Achille Bonito Oliva. E' già successo in altri campi, e con modalità imbarazzanti: l'autorità della critica operistica Rodolfo Celletti distruggeva Giuseppe Di Stefano, ma dopo qualche anno di silenzio lodò Andrea Bocelli al suo esordio operistico. Ma guarda un po', delle volte.

    RispondiElimina