A DAVID
LYNCH DEVO QUALCOSA
Anno 1981:
scelsi di trascorrere le vacanze estive, tre settimane, a Londra.
Belle vacanze.
Al cinema vidi The
Elephant Man: colpì me, colpì David Bowie.
Più avventuroso
dell’andata il ritorno: orario impossibile, dovevo tirare le tre di notte per
andare con il bus notturno alla fermata del pullman che mi avrebbe condotto in
aeroporto: decisi per un cinema in King’s Road, e così mi vidi Eraserhead:
ero giovane e quindi lo ressi (ed ancora mangio il pollo).
Il terzo suo film
(altri due comunque un poco mi marchiarono) fu Wild At Heart: ricordo
che lo andai a vedere due volte in una settimana ([1]) in
uno dei più bei cinema di Milano: il Metro Astra di Corso Vittorio Emanuele.
Io volevo essere
Sailor e cercavo la mia Lula: ci sono voluti anni, ma la ho trovata e ancora
siamo, io e lei, “due contro cento” ([2]).
Non ho una
giacca di pelle di serpente, ma quando sento “Baby Please Don’t Go” ...
Beh quei due
titoli ve li devo: Blue Velvet (che a me e a altri sei nel mondo ricorda
un film di Kenneth Anger).
Poi Lost
Higway che nella colonna sonora ha David Bowie e che vidi a Madrid.
Devo dire che Twin
Peaks mi tangette e basta.
Alla fine la
memoria ricordava che un attore era il boyfriend di Linda Evangelista.
Non ho altro da
aggiungere, se non che scoprii che James Dean scendeva in motocicletta a rotta
di collo lungo il Mulholland Drive.
E il mio cerchio
esistenziale si chiude, dato - anche - Dennis Hopper.
Steg
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[1] Altra epoca: potrei averlo
visto interamente e poi in parte: pagavi l’entrata non il numero di proiezioni.
[2] È il
titolo di un albo di Tex. Noi siamo la versione etero: lei è Tex e io sono il
brontolante Kit Carson: due tizzoni d’inferno per la vita. Oppure siamo Butch
Cassidy e The Sundance Kit, fate voi.
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