“LE
LISTE DEGLI ALTRI”
(rubrica
giornalistica esaltante e dinamica come il rock cristiano)
Premessa: questo
post non è un seguito ai miei precedenti
scritti nel blog sulla inutilità
degli elenchi e (l’inutilità) delle 1001 letture/visioni/ascolti/viaggi obbligatori
prima di morire.
Precisazione: il
rock cristiano è sintetizzabile nel tentativo musicale di coniugare un genere musicale
(sarebbe più corretto parlare di rock ‘n’ roll, ma non la ho inventata io la
definizione, ed il venire meno del “‘n’ roll” in essa dovrebbe già suggerire
qualcosa) che nasce come non conforme alla morale corrente con precetti
religiosi della cristianità. Sorta di ossimoro con risultati davvero modesti,
che infatti non si ricordano.
Nota tecnica: i
titoli qui citati non corrispondono (parzialmente) alle mie 10 canzoni, quanto ad un artista (forse
due) menzionato non si tratta nemmeno di uno dei miei cento artisti. In un caso
ho optato per non inserire nell’elenco delle non citate in Sette un titolo per evitare di essere considerato inutilmente
polemico.
Ebbene: c’è una
rubrica intitolata “Le liste degli altri”, a cura di Severino Salvemini
pubblicata su Sette ([1]) che
trovo veramente desolante. Speravo migliorasse ma non è così.
Essa consta di
un breve profilo dell’“altro” di turno e la sua lista delle 10 canzoni ([2]) che
“hanno accompagnato (o segnato) la sua
vita”.
Se la memoria
non mi inganna, non ho mai rinvenuto in una delle liste non dico, a scelta:
“Holiday in Cambodia” (Dead Kennedys), “No Fun” (The Stooges) “Celebrai”
(Alberto Radius) o “Diversi” (Prozac +), ma almeno “Everyday Is Like Sunday”
(Morrissey) o “Old Friends For Sale” (Prince).
Convinti di
essere moderni (ormai diversi degli intervistati sono più giovani di me, dunque
“c’è anche il ‘grunge’”), forse – forse, gli stilatori delle liste citano
canzoni banalotte di artisti che anche hanno interpretato (e magari anche
composto e/o scritto) opere degne di passare per lo meno alla cronaca musicale
più alta.
“E il jazz?”
potrebbe domandarmi qualcuno. Rispondo che non ho visto menzione: di Albert
Ayler, di John Zorn o (se è anche jazz) di James White/Chance.
Risultato, non
voluto: la superfluità e staticità della rubrica, proprio come il rock
cristiano. E forse anche come la media culturale italiana.
Insomma,
“Frankie Teardrop” (Suicide) era, è e sarà sempre ignota alla rubrica.
Probabilmente è
meglio così, perché “non le canzoni illustrano gli uomini, ma gli uomini le
canzoni” direbbe Niccolò Machiavelli.
Steg
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1]
Periodico del Corriere della sera
abbinato al numero del venerdì.
[2]
L’espressione impiegata è “brani musicali”; ma allora sarebbe corretto scrivere
“opere musicali” (si veda la legge n. 633 del 22 aprile 1941).
Peraltro, che senso ha
parlare di corpus mysticum quanto di
ognuna non sono indicati gli autori e compositori, ma solo gli interpreti (ed
allora si è nell’ambito del corpus
mechanicum)?